Nel mondo con gioia per la grazia di Dio

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Matteo è un pubblicano, un esattore delle imposte, quindi per la società ebraica del tempo, impuro dal punto di vista rituale, non abbastanza patriottico e forse un po’ ladro. È quel Matteo che però poi diverrà uno dei dodici apostoli.

In questo testo il comportamento di Gesù viene giudicato ingiusto o inadeguato da parte di alcuni farisei, ma Gesù sottolinea invece la misericordia di Dio.

(Versione audio)

Poi Gesù, partito di là, passando, vide un uomo chiamato Matteo, che sedeva al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli, alzatosi, lo seguì.

Mentre Gesù era a tavola in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. I farisei, veduto ciò, dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori?»

Ma Gesù, avendoli uditi, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Ora andate e imparate che cosa significhi: “Voglio misericordia e non sacrificio”; poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori».

Matteo 9:9-13

Per i farisei era vergognoso, ingiusto che qualche persona degna, che seguisse i comandamenti e cioè fosse “giusta” come nell’uso del tempo, si mettesse a tavola (fra l’altro sdraiati come si faceva al tempo nei banchetti) con dei peccatori manifesti.

Questa azione denotava, come anche per le nostre abitudini, infatti una familiarità e una contiguità che mal si confacevano ad un giusto. Anzi che lo rendevano impuro. (Fra l’altro capiamo da questo che i farisei giudicassero Gesù comunque un giusto, una persona di riguardo.)

In questa situazione (come anche nella precedente) c’è anche per i farisei probabilmente un’aggravante: non c’è un esplicito annuncio di Gesù per il perdono dei peccati di quei pubblicani e addirittura non c’è un minino accenno di pentimento o conversione.

La risposta di Gesù, però, è di venire per essere il loro medico, per essere chi porta la grazia ai peccatori, per venire a chiamare le pecore perdute della casa di Israele.

È implicito, dunque, che Gesù sia il Messia venuto per questo. Quindi non è che Egli si renda impuro per questo suo comportamento, perché Egli è il Figlio di Dio atteso. Ciò sposta dunque la nostra attenzione dalla mentalità farisaica, all’annuncio che chi doveva venire è finalmente giunto.

In effetti, scopriamo così che il banchetto che si svolge, presumibilmente in casa di Matteo, diventa un’allusione al Regno di Dio che viene, al banchetto messianico degli ultimi tempi. E in questa visione il buon pastore pensa a tutto il suo gregge, annunciando la misericordia di Dio.

Farisei

Chi siamo noi in questo racconto? Con chi ci identifichiamo?

Certo essendo umani siamo sempre un po’ farisei. Quelli che si ritengono a posto, che posso dimenticare la grazia che hanno ricevuta e mettersi a giudicare gli altri.

Mi si dirà che al giorno d’oggi non c’è un gruppo maggioritario come quello dei farisei, che definisce gli altri peccatori, forse alle volte sono alcune chiese. Ma osservo che nella società odierna c’è una tale divisione in gruppi d’opinione o di interessi, per la quale un gruppo è contro l’altro e ci si delegittima a vicenda (vedi certa politica, certi stili di vita). Ecco in questo siamo proprio dei farisei, perché in un modo o nell’altro questa è una società di farisei. Sempre pronti a dir male di altri visti come inadeguati, traditori, come chi non abbia le proprie ragioni e difficoltà.

pubblicani

Ma essendo umani siamo anche i pubblicani! Quelli che condizionati da questo mondo, dalla necessità di sbarcare il lunario per vivere, siamo solidali ad un mondo ingiusto, a volte senza esserne realmente consapevoli e più spesso senza poterne uscire fuori.

Infatti, siamo chiamati da Gesù Cristo, non perché siamo buonini, ma perché siamo perduti, sbandati in questa umanità errante.

Però il nostro Salvatore ci chiama con gioia! È questo che crea scandalo, non tanto perché il medico per curare il malato deve venirci in contatto, quanto perché in questa scena non c’è un Gesù arcigno che rimprovera, che incute timore a dei contriti pubblicani, ma un Gesù che invece accetta di essere con loro nella convivialità. È Gesù che fa grazia! E ciò non viene da loro, non viene da noi, è un suo dono di vita.

Se, come siamo dinnanzi a Dio pubblicani e farisei nello stesso tempo, ascoltiamo il messaggio di giustizia e insieme di misericordia del nostro Signore, allora saremo convertiti, conoscere la necessità della misericordia di Dio per la nostra vita e l’offerta gioiosa della grazia in Gesù Cristo, è ciò che ci converte.

non sacrificio

Una volta allora ascoltato e conosciuto il Signore Gesù Cristo, siamo chiamati contemporaneamente: come i farisei, a imparare che cosa significhi: “voglio misericordia e non sacrificio” e insieme, come Matteo, ad essere nel mondo come suoi discepoli.

Per comprendere la citazione di Osea, iniziamo a dire che riguarda il sacrificio nel Tempio vissuto come un aspetto rituale staccato dalla vita, che fa della religione solo un rito, senza un’implicazione nella vita quotidiana. Una giustizia dunque formale, ma sterile, non sostanziale.

La priorità di Gesù non è l’osservanza legale, ma la missione verso la gente, che è nel bisogno di conoscere la realtà della vita. Nella situazione rituale, i giusti si sentono sufficienti a sé stessi e divengono però inutili al prossimo. Infatti, non è che non siano giusti, secondo la definizione del tempo, ma il loro vivere diviene un sentirsi autosufficienti rispetto a Dio e un essere indifferenti verso chi ha fame e sete di giustizia, anche senza saperlo.

chiamati

L’atteggiamento di fede del cristiano è come la chiamata di Matteo. Gesù dice vieni e seguimi, e lui va. E questo seguire prosegue la tensione missionaria di Gesù venuto per i peccatori.

Alcune volte i cristiani sono elitari, si sentono da una parte, interpretano il ruolo dei farisei, ma chi sono questi “peccatori” se non tutta la variopinta umanità che vive intorno a noi e di cui noi siamo parte?

Certo. mi si dirà, che noi non essendo il Messia, rischiamo sempre di sbagliare con le nostre aperture e tentativi verso chi sbaglia, di confonderci con chi erra nel peccato del mondo, ma – ciò va da sé – è comunque sempre così, anche non facendo niente.

(Certo l’importante è non annunciare un altro evangelo, non confondere la Parola di Dio con quelle umane, ecco perché serve prima di tutto l’ascolto).

C’è un amore per l’umanità, in Gesù Cristo sorprendente, riconosce dove sbaglia, certo, ma sapendo nelle innumerevoli storie di vita di come sia difficile vivere bene, di quante siano le occasioni di caduta, e triste la vita nelle incomprensioni e debolezze. Gesù non abbandona l’umanità.

Secondo me l’invito che spesso sentiamo nelle chiese di apertura verso gli altri che sono diversi da noi è moralistico. Infatti, non c’è un noi e un loro, tutti siamo diversi, ma tutti siamo sulla stessa barca, partecipiamo a questo mondo.

Siamo inviati nel mondo, allora, come messaggeri di Dio, che amano l’umanità, che parlano della giustizia e misericordia di Dio e mai, proprio mai, della propria presunta giustizia.

Ed è gioia quella che possiamo e dobbiamo portare in giro come cristiani. La gioia di poter essere tutti insieme a tavola con Gesù. Gioiosi della grazia di Dio. Infatti, il Signore è giusto e misericordioso, per questo c’è gioia nei cieli e sulla terra quando lo conosciamo in Gesù Cristo. Amen


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