Introduzione

L’Ecclesiaste è un libro canonico. Ma alcuni, anche studiosi ebraici di un tempo, si sono chiesti come sia stato possibile la sua inclusione nel Canone biblico.

Certamente ha delle particolarità, potremo dire: “puntuali”. Come ad esempio che non compaia mai il nome di Dio, ma ci si riferisca al Signore con il nome generico di Elohim. E una volta lo si indica come il Creatore.

Inoltre, manca un qualsiasi accenno alla storia sacra, alla storia del popolo di Israele, al patto con Abramo, al rinnovarsi della promessa dopo fasi di idolatria e via dicendo.

Ma soprattutto è l’insieme dell’opera in cui sembra che il Signore sia nell’alto dei cieli e non si interessi degli esseri umani. “Dio è in cielo e tu sei su la terra” Qo 5:2.

Che tipo di opera è

Per interpretare un testo biblico e non prendere fischi per fiaschi, occorre comprendere che tipo di scritto sia. Se capisco, ad esempio, che Giona è un testo satirico, un testo che vuole comunicare una critica a una certa religiosità e lo fa con una forte satira, ecco che è subito chiaro di più il senso di ciò che è scritto.

Per il Qohèlet, osserviamo che, per gli studiosi, anche il carattere dell’opera non è chiaro.

Certamente è un libro da inserire nel filone sapienziale. Così infatti si presenta, ma con una critica anche alla vanità della sapienza stessa.

Negli scorsi anni sono state avanzate le ipotesi che sia da interpretare come opera ironica. Forse è un’ipotesi non del tutto convincente, anche se la parte su Salomone sembra effettivamente ironica.

Altri lo definiscono poetico, non solo a tratti, ma come Wisława Szymborska, nel suo discorso per l’assegnazione del Nobel, come uno dei grandi poeti universali.

Certamente gli aspetti ironici e poetici possono entrare in una visione ampia della sapienza antica, ma di che tipo? Un deismo, uno scetticismo, una contrapposizione a visioni tradizionali di sapienza?

Alcuni individuano una struttura con una parte negativa, di scetticismo a cui si contrappongono “ritornelli di gioia” che chiudono la sezione come una risposta. Per altri ci sono 3 o 4 punti in tensione nell’opera senza che questa tensione sia risolta.

Se una definizione dell’Ecclesiaste è stata quella di uno “scetticismo fedele” (Enzo Bianchi), altri vi vedono uno scetticismo assoluto:

In altre parole, Qohelet pronuncia un verdetto cosmico negativo sul significato dell’esistenza umana, addirittura su tutto ciò che esiste. La storia umana, come la ruota di un ingranaggio, è ridotta al rango di noiosa ripetizione. Non vi è alcuna «storia di salvezza», nessun guerriero divino che redime e conduce un popolo, e meno che mai la creazione, a un grandioso coronamento.

Il corso della storia cosmica e umana procede come al solito, dice Qohelet, e il suo procedere è riprovevole. Il mestiere di vivere finisce a mani vuote, come Qohelet dimostrerà raccontando la propria vita vana. (da Commentario Brown Claudiana)

Altri rispondono in modo molto meno drastico e più positivo:

Un libro contraddittorio, irrisolto, e per questo illuminante: insegna ad afferrare il momento che passa, ma ancor più a fruirlo per quello che è così com’è. Senza negarsi l’avvenire. Insegna a decidere, a saper ricominciare (Sergio Natoli Stare al mondo, Feltrinelli, Milano 2002, 2008)

Infine c’è chi vi vede un confronto fra fede e sapienza. E che in particolare segni il limite della sapienza umana e della sua idea retributiva, accostandolo in questo a Giobbe.

Canonico

Eppure questo libro è canonico.

Alcuni lo “addomesticano”.

Dal Qohelet Rabbah Midraš: Tutte le volte che in questo libro si menziona l’azione del mangiare e del bere, si fa allusione alla Torah e alle buone azioni” (II,28) Anche chi ama il denaro cerca i precetti. Non è hevel se non lo studio della Torah che è vita.

Altri, invece, ne vedono nella sua inclusione nel Canone una ricchezza e una visione non gretta di chi ha voluto mettere voci diverse nel Canone.

È di grande importanza che Qohèlet sia stato incluso nel canone biblico. Ciò significa che una religiosità così laica, conflittuale, critica, negatrice di tutta la tradizione, è legittimata addirittura come parola di Dio. Non dobbiamo vedere in questo qualcosa di contraddittorio, quanto piuttosto una implicita ammonizione a coloro che si adagiano soddisfatti nel pensare religioso e che considerano il pensare laico un affronto fatto a Dio. (Paolo De Benedetti)

Il riferimento iniziale, su cui torneremo, definisce il libro di Salomone. Nel Canone abbiamo altri due libri che vengono presentati come di Salomone, il Cantico dei cantici e i Proverbi.

Questo già suggerisce di considerare insieme questi libri. E essendo nella Bibbia, come cristiani, non possiamo non interpretarlo all’interno del discorso biblico, come una delle voci bibliche.

Per alcuni studiosi ciò non è corretto, in quanto ne vedono una forzatura, ma interpretare la Bibbia con la Bibbia, come si dice, è una delle pratiche più corrette per non prendere abbagli teologici.

Vanità

Nei capitoli 1 e 2 troviamo sviluppato il tema della vanità, vacuità di tutte le cose, anche della stessa sapienza.

Vanità di tutte le cose (Is 40:6-8; 1Gv 2:17; Gv 4:13; 2Co 4:18) Ec 12:10-12; Ro 8:20-22

1:1 Parole dell’Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme.

Ecclesiaste significa Colui che raccoglie, che raccoglie gente e dunque predicatore oppure che raccoglie detti. È più una funzione e non un nome come di solito.

Figlio di Davide e re. Scritto nel III secolo a.C. si presenta in maniera sia pure velata come Salomone a cui anche sono attribuiti i Proverbi e il Cantico dei cantici. Storicamente falso, ma dal punto di vista di interpretazione pregnante.

Non è velato negli altri due libri. Sembra voler affermare, ma nello stesso tempo negare. Dire e insieme dire di far attenzione a ciò che dice.

2 Vanità delle vanità, dice l’Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.

Vanità. La traduzione di questo termine è centrale: hevel (anche traslitterato con hebel) in ebraico può significare vuoto, vano, soffio (ma non vitale, ma come qualcosa che va via)…Vanità introduce una valenza morale che il termine non ha in ebraico.

È lo stesso termine che noi traduciamo nel nome di Abele, il fratello di Caino.

Vanità delle vanità. Ceronetti traduceva nel 2001 con «Fumo di fumi…Tutto non è che fumo»; nel 1970 però «Un infinito vuoto / Un infinito niente / Tutto è vuoto niente».

In varie traduzioni tedesche:

  • Es ist alles ganz eitel, sprach der Prediger, es ist alles ganz eitel. Kohelet 1:2 Luther 1534
  • Wie ist alles so nichtig! spricht der Prediger. / Wie ist alles so nichtig! es ist alles umsonst! ZB 1931
  • Nichtig und flüchtig, sprach Kohelet, nichtig und flüchtig, alles ist nichtig. Kohelet 1:2 NZB

3 Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole?

4 Una generazione se ne va, un’altra viene, e la terra sussiste per sempre. 5 Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo. 6 Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri. 7 Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre. 8 Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l’uomo possa dire; l’occhio non si sazia mai di vedere e l’orecchio non è mai stanco di udire. 9 Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c’è nulla di nuovo sotto il sole. 10 C’è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo?» Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto. 11 Non rimane memoria delle cose d’altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi.

Profitto. Traducibile anche con: cosa ricava? Quale vantaggio ha? Questa è forse la domanda del libro, il motivo per cui Qohèlet si interroga, fa esperienza e qui ne scrive.

C’è anche un tentativo, forse esatto, di “normalizzazione” del libro. Infatti, sotto il sole per M. Rabbah, se Qo 1:3 svuota di senso e di profitto / vantaggio ogni operato umano sotto il sole, si esclude tuttavia lo studio della Torah.

Si distingue, infatti, tra «sotto il sole» (opere dell’uomo, segnate dalla sua concupiscenza) e «sopra il/prima del sole» (la Torah preesistente la creazione, con le sue opere divinamente istituite) infine simbolicamente applica la formula ricorrente «mangiare e bere è dono di Dio» allo studio della Torah e alle buone opere.

Ma non solo sono vane varie attività umane, ma anche la stessa saggezza / sapienza che era giudicata dalla sapienza stessa, e in genere dai filosofi, al di sopra di tutto, la più alta delle attività umane.

Vanità della saggezza umana 1R 4:29, ecc.; Ec 8:16-17 12 Io, l’Ecclesiaste, sono stato re d’Israele a Gerusalemme, 13 e ho applicato il cuore a cercare e a investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo: occupazione penosa, che Dio ha data ai figli degli uomini perché vi si affatichino. 14 Io ho visto tutto ciò che si fa sotto il sole: ed ecco tutto è vanità, è un correre dietro al vento. 15 Ciò che è storto non può essere raddrizzato, ciò che manca non può essere contato.

16 Io ho detto, parlando in cuor mio: «Ecco io ho acquistato maggiore saggezza di tutti quelli che hanno regnato prima di me a Gerusalemme; sì, il mio cuore ha posseduto molta saggezza e molta scienza». 17 Ho applicato il cuore a conoscere la saggezza, e a conoscere la follia e la stoltezza; ho riconosciuto che anche questo è un correre dietro al vento. 18 Infatti, dov’è molta saggezza c’è molto affanno, e chi accresce la sua scienza accresce il suo dolore.

Io. Nella Bibbia compare l’io solo in proverbi 24:32, ma in Ecclesiaste abbondano gli io enfatici come le forme verbali in prima persona. Però senza Pathos e con il mascheramento dell’io salomonico.

Anche la saggezza è un correre dietro al vento. Molta saggezza e molta scienza forse sono vane se l’essere umano è vano, ma qui c’è anche l’accrescere il proprio affanno e il proprio dolore. È una condizione dello studioso, è una conseguenza del conoscere, è una superbia di chi pensa di poter sapere realmente ogni cosa?

Allora l’Ecclesiaste si rivolge ai piaceri che per i sapiente e il moralista vi sono opposti.

Capitolo 2 Vanità dei piaceri, delle ricchezze e del lavoro (Lu 16:19-26; Mt 16:26-27) 1Gv 2:15-17

2:1 Io ho detto in cuor mio: «Andiamo! Ti voglio mettere alla prova con la gioia, e tu godrai il piacere!» Ed ecco che anche questo è vanità. 2 Io ho detto del riso: «È una follia»; e della gioia: «A che giova?» 3 Io presi in cuor mio la decisione di abbandonare la mia carne alle attrattive del vino e, pur lasciando che il mio cuore mi guidasse saggiamente, di attenermi alla follia, per vedere ciò che è bene che gli uomini facciano sotto il cielo, durante il numero dei giorni della loro vita.

4 Io intrapresi grandi lavori; mi costruii case; mi piantai vigne; 5 mi feci giardini, parchi, e vi piantai alberi fruttiferi di ogni specie; 6 mi costruii stagni per irrigare con essi il bosco dove crescevano gli alberi; 7 comprai servi e serve, ed ebbi dei servi nati in casa; ebbi pure greggi e armenti, in gran numero, più di tutti quelli che erano stati prima di me a Gerusalemme; 8 accumulai argento, oro, e le ricchezze dei re e delle province; mi procurai dei cantanti e delle cantanti e ciò che fa la delizia dei figli degli uomini, cioè donne in gran numero. 9 Così divenni grande e superai tutti quelli che erano stati prima di me a Gerusalemme; la mia saggezza rimase essa pure sempre con me. 10 Di tutto quello che i miei occhi desideravano io nulla rifiutai loro; non privai il cuore di nessuna gioia; poiché il mio cuore si rallegrava di ogni mia fatica, ed è la ricompensa che mi è toccata d’ogni mia fatica. 11 Poi considerai tutte le opere che le mie mani avevano fatte, e la fatica che avevo sostenuto per farle, ed ecco che tutto era vanità, un correre dietro al vento, e che non se ne trae alcun profitto sotto il sole.

Alcuni vedono qui un’ironia verso il Salomone biblico che ha moglie e concubine a migliaia.

Il fatto che l’Ecclesiaste abbia prima citato la vanità della saggezza e poi quella dei piaceri è significativo. Infatti, di solito c’è una squalifica da parte della sapienza antica delle gioie terrene, per apprezzare le virtù e il pensiero.

Qui invece tutto viene riposto sotto la vanità. In questo senso avvertiamo come ci debba essere una valutazione che va oltre il sapienziale.

La conclusione per ora è che questa condizione di vanità riguardi l’intero genere umano.

La stessa sorte per tutti (Ec 8:1, 5-6; 9:1-9) Sl 49:6, ecc.

12 Allora mi misi a esaminare la saggezza, la follia e la stoltezza. – Che farà l’uomo che succederà al re? Quello che già è stato fatto. – 13 E vidi che la saggezza ha un vantaggio sulla stoltezza, come la luce ha un vantaggio sulle tenebre. 14 Il saggio ha gli occhi in testa, mentre lo stolto cammina nelle tenebre; ma ho riconosciuto pure che tutti e due hanno la medesima sorte. 15 Perciò ho detto in cuor mio: «La sorte che tocca allo stolto toccherà anche a me; perché dunque essere stato così saggio?» E ho detto in cuor mio che anche questo è vanità. 16 Infatti, tanto del saggio quanto dello stolto non rimane ricordo eterno; poiché nei giorni futuri tutto sarà da tempo dimenticato. Purtroppo il saggio muore, al pari dello stolto!

17 Perciò ho odiato la vita, perché tutto quello che si fa sotto il sole mi è divenuto odioso, poiché tutto è vanità, un correre dietro al vento. 18 Ho anche odiato ogni fatica che ho sostenuta sotto il sole, e di cui debbo lasciare il godimento a colui che verrà dopo di me. 19 Chi sa se egli sarà saggio o stolto? Eppure sarà padrone di tutto il lavoro che io ho compiuto con fatica e con saggezza sotto il sole. Anche questo è vanità. 20 Così sono arrivato a far perdere al mio cuore ogni speranza su tutta la fatica che ho sostenuta sotto il sole. 21 Infatti, ecco un uomo che ha lavorato con saggezza, con intelligenza e con successo, e lascia il frutto del suo lavoro in eredità a un altro, che non vi ha speso nessuna fatica! Anche questo è vanità, è un male grande.

22 Allora, che profitto trae l’uomo da tutto il suo lavoro, dalle preoccupazioni del suo cuore, da tutto ciò che gli è costato tanta fatica sotto il sole? 23 Tutti i suoi giorni non sono che dolore, la sua occupazione non è che fastidio; perfino la notte il suo cuore non ha posa. Anche questo è vanità.

La fine di ogni cosa, senza alcuna speranza nella resurrezione o vita eterna, e nemmeno a quanto sembra di una giustizia finale, non solo sembra disperata, ma anche molto lontana dalla fede.

Eppure, ciò che potremmo allora aspettarci come ovvia conseguenza di tale discorso, sarebbe allora mangiamo e beviamo, godiamoci la vita, come è affermato in maniera provocatoria in I Corinzi 15:32 Se soltanto per fini umani ho lottato con le belve a Efeso, che utile ne ho? Se i morti non risuscitano, «mangiamo e beviamo, perché domani morremo». Qui è sì, è presto affermato, ma invece con tutta un’altra sfumatura.

24 Non c’è nulla di meglio per l’uomo del mangiare, del bere e del godersi il benessere in mezzo alla fatica che egli sostiene; ma anche questo ho visto che viene dalla mano di Dio. 25 Infatti, chi senza di lui può mangiare o godere? 26 Poiché Dio dà all’uomo che egli gradisce, saggezza, intelligenza e gioia; ma al peccatore lascia il compito di raccogliere, di accumulare, per lasciare poi tutto a colui che è gradito agli occhi di Dio. Anche questo è vanità e un correre dietro al vento.

Il godersi la vita non avviene dunque in un’ottica atea o agnostica, ma con il riconoscimento assoluto dei doni del Signore è quindi vissuto con un orizzonte di lode al Signore e del seguirne la legge, che è in quel dargli intelligenza.

E proprio al non seguire il Signore si riferisce questo finale con il peccatore, che accumula e non gode dei doni di Dio, che rende ancor più vana la sua vita, che non vive realmente.

Dunque non c’è nulla di meglio… si riferisce a ciò che è buono per la vita umana, ma non sembra essere però la risposta al profitto che se ne trae dalla vita umana. Si veda poi alla fine del libro come questo tema sia in certo senso compreso.

È questo il primo dei “ritornelli gioiosi” che molti hanno individuato come interruzioni nel pessimismo del libro.

Un tempo per ogni cosa

Inizia qui una parte celebre.

Il tempo per ogni cosa è esattamente uno dei temi della letteratura sapienziale del mondo antico. L’idea di sapienza non è tanto quella di inventare nuove cose o idee, ma quella di riconoscere il tempo e fare in quel giusto momento l’azione adeguata.

Ovviamente nell’Ecclesiaste la questione non è così semplice. Fa parte di un discorso più ampio.

Capitolo 3 Per tutte le cose c’è un tempo fissato da Dio Ec 8:5-8, 15-17; Is 28:23-29; Sl 33:8-11

3:1 Per tutto c’è il suo tempo, c’è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo: 2 un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato, 3 un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire; 4 un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare, 5 un tempo per gettar via pietre e un tempo per raccoglierle, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci; 6 un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttar via, 7 un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare; 8 un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

Per ogni cosa, si potrebbe tradurre anche per ogni atto.

9 Che profitto trae dalla sua fatica colui che lavora? 10 Io ho visto le occupazioni che Dio dà agli uomini perché vi si affatichino. 11 Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo: egli ha perfino messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità, sebbene l’uomo non possa comprendere dal principio alla fine l’opera che Dio ha fatta.

Ogni cosa bella a suo tempo è forse un riferimento alla Creazione in Genesi?

Il pensiero dell’eternità, che si potrebbe tradurre con totalità, ma che ne soffrirebbe come ampiezza di significato, è veramente interessante.

L’anelito alla ricerca di senso e di un Dio è qualcosa connaturato all’essere umano e in fondo l’affaticarsi del sapiente segue questa ragione profonda dell’umano.

12 Io ho riconosciuto che non c’è nulla di meglio per loro del rallegrarsi e del procurarsi del benessere durante la loro vita, 13 ma che se uno mangia, beve e gode del benessere in mezzo a tutto il suo lavoro, è un dono di Dio. 14 Io ho riconosciuto che tutto quel che Dio fa è per sempre; niente c’è da aggiungervi, niente da togliervi; e che Dio fa così perché gli uomini lo temano. 15 Ciò che è, è già stato prima, e ciò che sarà è già stato, e Dio riconduce ciò ch’è passato.

Nel Salmo 33:8-9 si legge Tutta la terra tema il SIGNORE; davanti a lui abbiano timore tutti gli abitanti del mondo. Poich’egli parlò, e la cosa fu; egli comandò e la cosa apparve.

Di nuovo torna il tema del godere dei doni di Dio, questo è il secondo ritornello gioioso.

La sovranità di Dio sul tempo è in fondo una risposta di fede, al fatto che il Signore è sopra al tempo e conosce realmente il tempo per ogni cosa.

La stessa sorte

L’Ecclesiaste paragona l’uomo agli animali (Ec 5:7; 12:15-16)(Ec 12:9; 9:1-10)

16 Ho anche visto sotto il sole che nel luogo stabilito per giudicare c’è empietà, e che nel luogo stabilito per la giustizia c’è empietà, 17 e ho detto in cuor mio: «Dio giudicherà il giusto e l’empio poiché c’è un tempo per il giudizio di qualsiasi azione e, nel luogo fissato, sarà giudicata ogni opera». 18 Io ho detto in cuor mio: «Così è a causa dei figli degli uomini, perché Dio li metta alla prova1, ed essi stessi riconoscano che non sono che bestie». 19 Infatti, la sorte dei figli degli uomini è la sorte delle bestie; agli uni e alle altre tocca la stessa sorte; come muore l’uno, così muore l’altra; hanno tutti un medesimo soffio2, e l’uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia; poiché tutto è vanità3. 20 Tutti vanno in un medesimo luogo; tutti vengono dalla polvere, e tutti ritornano alla polvere. 21 Chi sa se il soffio4 dell’uomo sale in alto5, e se il soffio6 della bestia scende in basso nella terra? 22 Io ho dunque visto che non c’è nulla di meglio per l’uomo del rallegrarsi nel compiere il suo lavoro; tale è la sua parte; infatti, chi potrà farlo tornare per godere di ciò che verrà dopo di lui?


III incontro

Capitolo 4

I mali e i tormenti della vita (Gb 3:11-22)

4:1 Mi sono messo poi a considerare tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole; ed ecco, le lacrime degli oppressi, i quali non hanno chi li consoli; da parte dei loro oppressori c’è la violenza, mentre quelli non hanno chi li consoli. 2 Perciò ho stimato i morti, che sono già morti, più felici dei vivi, che sono vivi tuttora; 3 più felice degli uni e degli altri è colui che non è ancora venuto all’esistenza, e non ha ancora visto le azioni malvagie che si commettono sotto il sole.

Qui la letteratura di riferimento è ampia.

Giobbe 3:11-22Perché non morii fin dal seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dal suo grembo? Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare? Ora giacerei tranquillo, dormirei, e avrei così riposo con i re e con i consiglieri della terra che si costruirono mausolei, con i prìncipi che possedevano oro e che riempirono d’argento le loro case; oppure, come l’aborto nascosto, non esisterei, sarei come i feti che non videro la luce. Là cessano gli empi di tormentare gli altri. Là riposano gli stanchi, là i prigionieri hanno pace tutti insieme, senza udir voce d’aguzzino. Piccoli e grandi sono là insieme, lo schiavo è libero dal suo padrone. Perché dare la luce all’infelice e la vita a chi ha l’anima nell’amarezza? Essi aspettano la morte che non viene, la ricercano più che i tesori nascosti. Si rallegrerebbero fino a giubilarne, esulterebbero se trovassero una tomba.

TeognideLa miglior cosa per gli uomini di questa terra è non essere nati e non vedere la luce del sole; ma se son nati, allora quanto più presto possibile valicare le porte dell’Ade e giacere profondamente sepolti. (dalle Elegie) “Perché non sono puniti i malvagi? Perché soffrono i buoni? E perché i figli innocenti pagano per le colpe dei padri? Come questo può essere giusto?” (versi 373-380)

La differenza è forse nel senso di oppressione e ingiustizia che si sperimenta nel mondo.

Quello che inquieta è però a quanto sembra la mancanza di alcuna consolazione.

La consolazione, che uno degli aspetti citati spesso dalla Bibbia come intervento di Dio, manca forse perché non ci sono amici, non c’è solidarietà per gli oppressi e non si fa riferimento a quella che dovrebbe venire da Dio.

Poi si rivolge all’invidia e alla cupidigia, due esemplificazioni di quel non seguire la Parola del Signore.

(Pr 26:13-16; Lu 12:15-21)

4 Ho anche visto che ogni fatica e ogni buona riuscita nel lavoro provocano invidia dell’uno contro l’altro. Anche questo è vanità, un correre dietro al vento. 5 Lo stolto incrocia le braccia e divora la sua carne. 6 Vale più una mano piena, con riposo, che entrambe le mani piene, con travaglio e corsa dietro al vento.

7 Ho anche visto un’altra vanità sotto il sole: 8 un tale è solo, senza nessuno che gli stia vicino; non ha né figlio né fratello, e tuttavia si affatica senza fine, i suoi occhi non si saziano mai di ricchezze. Non riflette: «Ma per chi dunque mi affatico e mi privo di ogni bene?» Anche questa è una vanità, un’ingrata occupazione.

Prima sembra esser dato un certo valore ad una via media, e comunque non c’è un’esaltazione dello stolto. Poi c’è il testo dell’avaro solitario. In Luca ad esempio c’è il parallelo della parabola del ricco stolto, seguita però dal testo sulle preoccupazioni.

Poi mostra il valore dell’essere insieme:

9 Due valgono più di uno solo, perché sono ben ricompensati della loro fatica. 10 Infatti, se l’uno cade, l’altro rialza il suo compagno; ma guai a chi è solo e cade senz’avere un altro che lo rialzi! 11 Così pure, se due dormono assieme, si riscaldano; ma chi è solo, come farà a riscaldarsi? 12 Se uno tenta di sopraffare chi è solo, due gli terranno testa; una corda a tre capi non si rompe così presto.

La corda è a tre capi, per qualche commentatore, perché il Signore interviene per una coppia che si ama.

13 Meglio un ragazzo povero e saggio che un re vecchio e stolto che non sa più ascoltare i consigli. 14 È uscito di prigione per essere re: egli, che era nato povero nel suo futuro regno. 15 Ho visto tutti i viventi che vanno e vengono sotto il sole unirsi al ragazzo che doveva succedere al re e regnare al suo posto. 16 Era immensa la moltitudine di tutti coloro alla cui testa egli si trovava. Eppure, quelli che verranno in seguito non si rallegreranno di lui! Anche questo è vanità, e un correre dietro al vento.

Forse qui più che a Salomone potrebbe riferirsi a Davide vecchio? O forse proprio a Salomone stesso? Comunque sia c’è il ribaltamento il vecchio re è stolto, non così quando era giovane.

Attenzione!

Si parla in questa parte del rapporto con Dio nell’ambito religioso.

Di seguito si fa riferimento al Tempio di Gerusalemme e si danno per scontate le pratiche individuali di sacrifici e voti.

Capitolo 5

Il pericolo della lingua (1S 15:22; Gr 7:21-23) De 23:21-23

5:1 Bada ai tuoi passi quando vai alla casa di Dio e avvicìnati per ascoltare, anziché per offrire il sacrificio degli stolti, i quali non sanno neppure che fanno male.

2 Non essere precipitoso nel parlare e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio; perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; le tue parole siano dunque poche; 3 poiché con le molte occupazioni vengono i sogni, e con le molte parole, i ragionamenti insensati.

Dio è in cielo e tu sulla terra. È questa una delle affermazioni che fanno più pensare alla visione “deistica” in Qohèlet. Eppure siamo in ambito di culto o di preghiera personale nel Tempio di Dio. La dimensione del culto è ben presente, dunque.

La questione dell’essere sulla terra mi sembra si riferisca di più alla distanza rispetto ai pensieri di Dio, che quindi bisogna cercare più di ascoltare, che di parlare, e non alla sua distanza dagli umani.

4 Quando hai fatto un voto a Dio, non indugiare ad adempierlo; perché egli non si compiace degli stolti; adempi il voto che hai fatto. 5 Meglio è per te non far voti, che farne e poi non adempierli. 6 Non permettere alla tua bocca di renderti colpevole; non dire davanti al messaggero di Dio: «È stato uno sbaglio». Dio dovrebbe forse adirarsi per le tue parole e distruggere l’opera delle tue mani? 7 Infatti, se vi sono vanità nei molti sogni, ve ne sono anche nelle molte parole; perciò temi Dio!

Nel messaggero di Dio si potrebbe vedere più un ministro di Dio, che il messaggero di Dio inteso come un angelo. Non sembra infatti entrarci molto la dimensione angelica, anche se il termine potrebbe anche tradursi con angelo.

Insoddisfazione

Illusione delle ricchezze Is 3:13-15 (1Ti 6:6-10; Ec 2:21-26)

8 Se vedi nella provincia l’oppressione del povero e la violazione del diritto e della giustizia, non te ne meravigliare; poiché sopra un uomo in alto veglia uno che sta più in alto, e sopra di loro sta un Altissimo. 9 Ma vantaggioso per un paese è, per ogni rispetto, un re, che si occupi dei campi. 10 Chi ama l’argento non è saziato con l’argento; e chi ama le ricchezze non ne trae profitto di sorta. Anche questo è vanità. 11 Quando abbondano i beni, abbondano anche quelli che li mangiano; e quale vantaggio ne viene ai possessori, se non di vedere quei beni con i loro occhi? 12 Dolce è il sonno del lavoratore, abbia egli poco o molto da mangiare; ma la sazietà del ricco non lo lascia dormire.

13 C’è un male grave che io ho visto sotto il sole; delle ricchezze conservate dal loro possessore, per sua sventura. 14 Queste ricchezze vanno perdute per qualche avvenimento funesto; e se ha generato un figlio, questi resta senza nulla in mano. 15 Uscito nudo dal grembo di sua madre, quel possessore se ne va com’era venuto; di tutta la sua fatica non può prendere nulla da portare con sé. 16 Anche questo è un male grave: che egli se ne vada tale e quale era venuto; qual profitto gli viene dall’avere faticato per il vento? 17 Per di più, durante tutta la vita egli mangia nelle tenebre e ha molti fastidi, malanni e crucci.

18 Ecco quello che ho visto: buona e bella cosa è per l’uomo mangiare, bere, godere del benessere in mezzo a tutta la fatica che egli sostiene sotto il sole, tutti i giorni di vita che Dio gli ha dati; poiché questa è la sua parte. 19 E ancora se Dio ha dato a un uomo ricchezze e tesori, e gli ha dato potere di goderne, di prenderne la sua parte e di gioire della sua fatica, è questo un dono di Dio; 20 un tale uomo infatti non si ricorderà troppo dei giorni della sua vita, poiché Dio gli concede gioia nel cuore.

Per alcuni questo riferimento alla provincia e questa distanza dal sovrano è in accordo con il periodo tolemaico cui il re è ben lontano dalla terra di Israele

Ecco dunque un altro dei ritornelli gioiosi.

Capitolo 6

Insoddisfazione dell’uomo (Ec 2:21-26; 5:9-11) Sl 39:6

6:1 C’è un male che ho visto sotto il sole e che grava di frequente sugli uomini: 2 eccone uno a cui Dio dà ricchezze, tesori e gloria, al punto che nulla gli manca di tutto ciò che può desiderare, ma Dio non gli dà il potere di goderne; ne gode uno straniero. Ecco una vanità, un male grave. 3 Se uno generasse cento figli, vivesse molti anni tanto che i giorni dei suoi anni si moltiplicassero, se egli non si sazia di beni e non ha sepoltura, io dico che un aborto è più felice di lui; 4 perché l’aborto nasce invano, se ne va nelle tenebre e il suo nome resta coperto di tenebre; 5 non ha neppure visto né conosciuto il sole e tuttavia ha più riposo di quell’altro. 6 Anche se questi vivesse due volte mille anni, se non gode benessere, a che scopo? Non va tutto a finire in un medesimo luogo?

Salmo 39:6 Certo, l’uomo va e viene come un’ombra; certo, s’affanna per quel ch’è vanità; egli accumula ricchezze, senza sapere chi le raccoglierà.


IV incontro

Lo scetticismo dell’Ecclesiaste è scetticismo soprattutto infine verso la sapienza umana, vista come sapienza relativa. Appare uno scettico che denuncia la superbia umana.

Infatti, nel corso del libro c’è una cesura. È fra la fine del capitolo 6 e l’inizio del 7.

Il capitolo 6 si conclude con un mostrare che l’essere umano non può contendere con il Signore.

7 Tutta la fatica dell’uomo è per la sua bocca, però l’appetito suo non è mai sazio. 8 Che vantaggio ha il saggio sullo stolto? O che vantaggio ha il povero che sa come comportarsi in presenza dei viventi? 9 Vedere con gli occhi vale più del lasciare vagare i propri desideri. Anche questo è vanità, un correre dietro al vento.

10 Ciò che esiste è già stato chiamato per nome da tempo, ed è noto che cosa l’uomo è, e che non può contendere con Colui che è più forte di lui. 11 Moltiplicare le parole significa moltiplicare la vanità; che vantaggio ne viene all’uomo? 12 Infatti, chi può sapere ciò che è buono per l’uomo nella sua vita, durante tutti i giorni della sua vita vana, che egli passa come un’ombra? Chi sa dire all’uomo quel che sarà dopo di lui sotto il sole?

Questo non poter contendere e queste domande che sembrano all’ascoltatore moderno retoriche con risposta: nessuno. Si potrebbero però rispondere con Dio. Cioè Dio sa ciò che è buono e Dio sa cosa sarà di lui dopo il sole. Ed in effetti abbiamo un testo biblico, non a caso.

Il testo prosegue che bisogna riflettere dell’esistenza umana proprio partendo dalla morte. Sapendo però che troppa oppressione rende insensati. (Anche qui un limite della sapienza che si può esercitare solo a determinate condizioni.)

Capitolo 7 Le prove, la saggezza e la moderazione (Paralleli: Sal 90:12 Insegnaci dunque a contar bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio.; Giacomo 1:27 La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni, e conservarsi puri dal mondo.)

7:1 Una buona reputazione vale più dell’olio profumato; e il giorno della morte, è meglio del giorno della nascita. 2 È meglio andare in una casa in lutto, che andare in una casa in festa; poiché là è la fine di ogni uomo, e colui che vive vi porrà mente. 3 La tristezza vale più del riso; poiché quando il viso è afflitto, il cuore diventa migliore. 4 Il cuore del saggio è nella casa del pianto; ma il cuore degli stolti è nella casa della gioia. 5 Vale più udire la riprensione del saggio, che udire la canzone degli stolti. 6 Infatti qual è lo scoppiettio dei pruni sotto una pentola, tal è il riso dello stolto. Anche questo è vanità. 7 Certo l’oppressione rende insensato il saggio, e il dono fa perdere il senno.

8 Vale più la fine di una cosa, che il suo principio; e lo spirito paziente vale più dello spirito altero. 9 Non ti affrettare a irritarti nello spirito tuo, perché l’irritazione riposa in seno agli stolti. 10 Non dire: «Come mai i giorni di prima erano migliori di questi?», poiché non è da saggio domandarsi questo.

Ci sono domande dunque futili, non sagge, perché probabilmente sbagliate in come sono poste. Ma nelle difficoltà c’è da riflettere con umiltà su Dio stesso.

(Paralleli Pr 3:13-18; Giacomo 5:13 C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi. C’è qualcuno d’animo lieto? Canti degli inni.) 11 La saggezza è buona quanto un’eredità, e anche di più, per quelli che vedono il sole. 12 Infatti la saggezza offre un riparo, come l’offre il denaro; ma l’eccellenza della scienza sta in questo, che la saggezza fa vivere quelli che la possiedono. 13 Considera l’opera di Dio; chi potrà raddrizzare ciò che egli ha reso curvo? 14 Nel giorno della prosperità godi del bene, e nel giorno dell’avversità rifletti. Dio ha fatto l’uno come l’altro, affinché l’uomo non scopra nulla di ciò che sarà dopo di lui.

Paralleli (Ec 8:14, 5-7; 9:13-18) 1Gv 1:8-10 I Giovanni 1:8 Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi.

15 Ho visto tutto questo nei giorni della mia vanità. C’è un tale giusto che perisce per la sua giustizia, e c’è un tale empio che prolunga la sua vita con la sua malvagità. 16 Non essere troppo giusto, e non farti troppo saggio: perché vorresti rovinarti? 17 Non essere troppo empio, e non essere stolto; perché dovresti morire prima del tempo? 18 È bene che tu ti attenga fermamente a questo, e che non allontani la mano da quello; chi teme Dio infatti evita tutte queste cose. 19 La saggezza dà al saggio più forza che non facciano dieci capi in una città. 20 Certo, non c’è sulla terra nessun uomo giusto che faccia il bene e non pecchi mai. 21 Non porre dunque mente a tutte le parole che si dicono, per non sentirti maledire dal tuo servo; 22 poiché il tuo cuore sa che spesso anche tu hai maledetto altri.

Ecco dunque che ci stiamo avviando alla transizione. La saggezza è utile, ma relativa.

La saggezza non si trova quaggiù Pr 5; 1Ti 2:14 (Ro 1:21; 3:9-19)

23 Io ho esaminato tutto questo con saggezza. Ho detto: «Voglio acquistare saggezza»; ma la saggezza è rimasta lontano da me. 24 Una cosa che è tanto lontana e tanto profonda chi potrà trovarla? 25 Io mi sono applicato in cuor mio a riflettere, a investigare, a cercare la saggezza e il perché delle cose, e a riconoscere che l’empietà è una follia e la stoltezza una pazzia; 26 e ho trovato una cosa più amara della morte: la donna tutta tranelli, il cui cuore non è altro che reti, e le cui mani sono catene; chi è gradito a Dio le sfugge, ma il peccatore rimane preso da lei. 27 «Ecco, questo ho trovato», dice l’Ecclesiaste, «dopo aver esaminato le cose una ad una per afferrarne la ragione; 28 ecco quello che io cerco ancora, senza averlo trovato: un uomo fra mille, l’ho trovato; ma una donna fra tutte, non l’ho trovata. 29 Questo soltanto ho trovato: che Dio ha fatto l’uomo retto, ma gli uomini hanno cercato molti sotterfugi».

Dunque il mondo creato da Dio è giusto è buono, ma sono gli esseri umani a rovinarlo. Si noti il riferimento implicito all’inizio della Genesi e si noti anche i riferimenti ai salmi in cui l’azione malvagia è di nascosto, nell’ombra, ad esempio: Salmo 31:4 Tirami fuori dalla rete che m’han tesa di nascosto; poiché tu sei il mio baluardo.

7:23-29 C’è qui il tema in fondo che già rimanda alla conclusione con il timore del Signore e una valutazione positiva della Creazione che rimanda ai temi della giustizia e della vacuità del suo/nostro tempo.

Si aprono poi delle riflessioni varie che si soffermano su questa relatività. Il giusto mezzo sapienziale diviene qualcosa per conoscere i propri limiti.

C’è l’aspetto del sovrano da seguire.

Capitolo 8 Riflessioni varie Parallelo Rom 13:1-7 Rom 13:1 Ogni persona stia sottomessa alle autorità superiori; perché non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite da Dio.

8:1 Chi è come il saggio? E chi conosce la spiegazione delle cose? La saggezza di un uomo gli rischiara il viso, e la durezza del suo volto ne è mutata. 2 Io ti dico: «Osserva gli ordini del re»; e questo, a causa del giuramento che hai fatto davanti a Dio. 3 Non ti affrettare ad allontanarti dalla sua presenza e non persistere in una cosa cattiva; egli infatti può fare tutto quello che gli piace, 4 perché la parola del re è potente; e chi gli può dire: «Che fai?» 5 Chi osserva il comandamento non conosce disgrazia, e il cuore dell’uomo saggio sa che c’è un tempo e un giudizio; 6 perché per ogni cosa c’è un tempo e un giudizio; poiché la malvagità dell’uomo pesa gravemente addosso a lui. 7 L’uomo, infatti, non sa quel che avverrà; poiché chi gli dirà come andranno le cose? 8 Non c’è uomo che abbia potere sul vento per poterlo trattenere, o che abbia potere sul giorno della morte; non c’è congedo in tempo di guerra, e l’iniquità non può salvare chi la commette.

Ma c’è anche da stare attenti a coloro che dominano per la sventura degli altri.

(Paralleli Ml 3:13-18; 4:1-2) Sl 73

9 Ho visto tutto questo e ho posto mente a tutto quello che si fa sotto il sole, quando l’uomo domina sugli uomini per loro sventura. 10 Ho visto allora degli empi ricevere sepoltura ed entrare nel loro riposo, e di quelli che si erano comportati con rettitudine andarsene lontano dal luogo santo ed essere dimenticati nella città. Anche questo è vanità. 11 Siccome la sentenza contro un’azione cattiva non si esegue prontamente, il cuore dei figli degli uomini è pieno della voglia di fare il male. 12 Sebbene il peccatore faccia cento volte il male, e anche prolunghi i suoi giorni, tuttavia io so che il bene è per quelli che temono Dio, che provano timore in sua presenza. 13 Ma non c’è bene per l’empio ed egli non prolungherà i suoi giorni come fa l’ombra che si allunga, perché non prova timore in presenza di Dio.

14 C’è una vanità che avviene sulla terra; ed è che vi sono dei giusti i quali sono trattati come se avessero fatto l’opera degli empi, e ci sono degli empi i quali sono trattati come se avessero fatto l’opera dei giusti. Io ho detto che anche questo è vanità. 15 Così io ho lodato la gioia, perché non c’è per l’uomo altro bene sotto il sole, fuori del mangiare, del bere e del gioire; questo è quello che lo accompagnerà in mezzo al suo lavoro, durante i giorni di vita che Dio gli dà sotto il sole.

16 Quando ho applicato il mio cuore a conoscere la saggezza e a considerare le cose che si fanno sulla terra, perché gli occhi dell’uomo non godono sonno né giorno né notte, 17 allora ho scrutato tutta l’opera di Dio e ho visto che l’uomo è impotente a spiegare quello che si fa sotto il sole; egli ha un bell’affaticarsi a cercarne la spiegazione; non riesce a trovarla; e anche se il saggio pretende di saperla, non però può trovarla.

C’è qui qualcosa che si trova anche dopo. Seguire una vita giusta senza pensare ad una ricompensa. Questa per alcuni ebrei la vera vita da credente.

Yeshayahu Leibowitz ne “la Fede ebaraica” che scrive nella conclusione di seguire i dettami di Dio nella vita: “Questo è tutto per l’uomo, anche se egli non godrà del bene, e questa è la visione di fede e del servizio di Dio come valori intrinseci, non volti al raggiungimento di alcun vantaggio.

E più sotto: non dice cosa sia il bene per l’uomo, ma che cosa sia l’uomo…egli scopre invece che cosa sia l’uomo: il valore intrinseco dell’esistenza umana non è altro che il timore di Dio e il Suo servizio fine a sé stesso…il fine dell’uomo nel corso della sua vita: l’essere giusto di fronte a Dio.

Capitolo 9 Impossibilità per l’uomo di risolvere i suoi problemi (Ec 8:16-17; 2:14-16)(Gb 14; Ec 5:17-19)

9:1 Sì, io ho applicato a tutto questo il mio cuore, e ho cercato di chiarirlo: che cioè i giusti e i saggi e le loro opere sono nelle mani di Dio; l’uomo non sa neppure se amerà o se odierà; tutto è possibile. 2 Tutto succede ugualmente a tutti; la medesima sorte attende il giusto e l’empio, il buono e puro e l’impuro, chi offre sacrifici e chi non li offre; tanto è il buono quanto il peccatore, tanto è colui che giura quanto chi teme di giurare. 3 Questo è un male fra tutto quello che si fa sotto il sole: che tutti abbiano una medesima sorte; così il cuore dei figli degli uomini è pieno di malvagità e hanno la follia nel cuore mentre vivono; poi se ne vanno ai morti. 4 Per chi è associato a tutti gli altri viventi c’è speranza; perché un cane vivo vale più di un leone morto. 5 Infatti, i viventi sanno che moriranno; ma i morti non sanno nulla, e per essi non c’è più salario; poiché la loro memoria è dimenticata. 6 Il loro amore come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno più né avranno mai alcuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole.

La morte come livellatrice certo, ma anche che non mostra quale sia la vita retta

C’è una nota positiva in questo versetto, quella sul cane vivo, ma fino a che punto? La possibilità di essere vivi è dunque positiva nonostante tutto ciò che ha detto prima del meglio non esser nati?

E arriva così un ritornello positivo.


Ultimo incontro su Ecclesiaste. Breve riassunto di quanto detto.

L’Ecclesiaste è un saggio / sapiente antico che ci mette in forma poetica al corrente della sua esperienza di sapiente e di vita.

Anche la saggezza è considerata una vanità, cioè qualcosa di vuoto, che finisce con la morte. Nel corso dell’opera però c’è un certo sviluppo, in cui si arriva a vedere come la saggezza sia utile, ma relativa.

Puntualmente nell’opera si affacciano dei cosiddetti ritornelli gioiosi, in cui compare anche il timore del Signore. E nel capitolo 9 compare questo cane vivo rispetto ad uno morto che sembra in contraddizione con quanto affermato prima. (Un primato della vita stessa come in Tolstoj?)

Nel capitolo 9 che abbiamo iniziato a leggere abbiamo il tema della retribuzione che non arrivando non insegna la retta via agli esseri umani e il ritornello sulla vita, che non è solo un carpe diem, nel senso godiamocela finché dura, ma anzi un impegno nel presente a fare, infatti è scritto:

7 Va’, mangia il tuo pane con gioia, e bevi il tuo vino con cuore allegro, perché Dio ha già gradito le tue opere. 8 Siano le tue vesti bianche in ogni tempo, e l’olio non manchi mai sul tuo capo. 9 Godi la vita con la moglie che ami, per tutti i giorni della vita della tua vanità, che Dio ti ha data sotto il sole per tutto il tempo della tua vanità; poiché questa è la tua parte nella vita, in mezzo a tutta la fatica che sostieni sotto il sole. 10 Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; poiché nel soggiorno dei morti dove vai, non c’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né saggezza.

Ecco di nuovo la morte come livella. E in questo è ingiusta perché livella tutti nella stessa maniera. Qui vale la considerazione di una fede il cui valore intrinseco (che avevamo letto in Leibowitz) è seguire la saggezza nel timore del Signore, ma altri del tempo si aprivano già ad una speranza di resurrezione.

C’è poi l’ingratitudine umana.

(Pr 21:30-31; Gb 12:13-25) 2S 20:15-22

11 Io mi sono rimesso a considerare che sotto il sole, per correre non basta essere agili, né basta per combattere essere valorosi, né essere saggi per avere del pane, né essere intelligenti per avere delle ricchezze, né essere abili per ottenere favore; poiché tutti dipendono dal tempo e dalle circostanze. 12 L’uomo infatti non conosce la sua ora; come i pesci che sono presi nella rete fatale e come gli uccelli che sono colti nel laccio, così i figli degli uomini sono presi nel laccio al tempo dell’avversità, quando essa piomba su di loro improvvisa.

13 Ho visto sotto il sole anche questo esempio di saggezza che mi è parsa grande. 14 C’era una piccola città, con dentro pochi uomini; un gran re le marciò contro, la cinse d’assedio e le costruì contro dei grandi bastioni. 15 Ora in essa si trovò un uomo povero e saggio che con la sua saggezza salvò la città. Eppure nessuno conservò ricordo di quell’uomo povero.

16 Allora io dissi: «La saggezza vale più della forza»; ma la saggezza del povero è disprezzata e le sue parole non sono ascoltate. 17 Le parole dei saggi ascoltate nella tranquillità valgono più delle grida di chi domina fra gli stolti. 18 La saggezza vale più degli strumenti di guerra; ma un solo peccatore distrugge un gran bene.

La saggezza dunque che non è riconosciuta. E poca stoltezza fa crollare ogni cosa, come si legge nel capitolo 10:

Capitolo 10

Riflessioni sulla follia (Ec 2:12-14; 8:1-6) Mt 12:34-37

10:1 Le mosche morte fanno puzzare e imputridire l’olio del profumiere: un po’ di follia guasta il pregio della saggezza e della gloria. 2 Il saggio ha il cuore alla sua destra, ma lo stolto l’ha alla sua sinistra. 3 Anche quando lo stolto va per la via, il senno gli manca e mostra a tutti che è uno stolto. 4 Se il sovrano si adira contro di te, non lasciare il tuo posto; perché la dolcezza evita grandi peccati. 5 C’è un male che ho visto sotto il sole, un errore che proviene da chi governa: 6 che, cioè, la stoltezza occupa posti altissimi e i ricchi seggono in luoghi bassi. 7 Ho visto degli schiavi a cavallo e dei prìncipi camminare a piedi come gli schiavi.

8 Chi scava una fossa vi cadrà dentro, e chi demolisce un muro sarà morso dalla serpe. 9 Chi smuove le pietre ne rimarrà contuso, e chi spacca la legna corre un pericolo. 10 Se il ferro perde il taglio e uno non lo arrota, bisogna che raddoppi la forza; ma la saggezza ha il vantaggio di riuscire sempre.

11 Se il serpente morde prima di essere incantato, l’incantatore diventa inutile.

12 Le parole della bocca del saggio sono piene di grazia; ma le labbra dello stolto sono causa della sua rovina. 13 Il principio delle parole della sua bocca è stoltezza e la fine del suo dire è malvagia pazzia. 14 Lo stolto moltiplica le parole; eppure l’uomo non sa quel che gli avverrà; e chi gli dirà quel che succederà dopo di lui? 15 La fatica dello stolto lo stanca, perché egli non sa neppure la via della città.

Pr 31:4-7; 1P 2:17

16 Guai a te, o paese, il cui re è un bambino e i cui prìncipi mangiano fin dal mattino! 17 Beato te, o paese, il cui re è di nobile stirpe e i cui prìncipi si mettono a tavola al tempo convenevole, per ristorare le forze e non per ubriacarsi! 18 Per la pigrizia sprofonda il soffitto; per la rilassatezza delle mani piove in casa. 19 Il convito è fatto per gioire, il vino rende gaia la vita, e il denaro risponde a tutto.

20 Non maledire il re, neppure con il pensiero; e non maledire il ricco nella camera dove dormi; poiché un uccello del cielo potrebbe spargerne la voce e un messaggero alato pubblicare la cosa.

Il versetto 10:20 è una riflessione sul re o, si chiedono alcuni, in qualche modo su Dio?

Finisce questo passo con una specie di digressione in cui, come si dice, anche i muri hanno orecchie. C’è un clima da Stato di polizia come intravede (E. Tamez)? Si noti come nel Grande fratello ci fosse anche l’uccello meccanico che spia anche in aperta campagna…

Seguono dei pensieri positivi, ovviamente con malinconia.

Fare il bene in tempo

Nel breve capitolo 11 troviamo in qualche modo di nuovo l’idea che la saggezza sta nel fare le cose al tempo giusto. Stavolta è fare il bene al tempo giusto. Ed anche a saper osare proprio perché non si può sapere il futuro.

Capitolo 11

Del fare il bene mentre se ne ha il tempo Pr 11:24-25; 2Co 9:6, ecc.; Ga 6:9-10

11:1 Getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molto tempo lo ritroverai. 2 Fanne parte a sette, e anche a otto, perché tu non sai che male può avvenire sulla terra. 3 Quando le nuvole sono piene di pioggia, la riversano sulla terra; e se un albero cade verso il sud o verso il nord, dove cade, là rimane. 4 Chi bada al vento non seminerà; chi guarda alle nuvole non mieterà. 5 Come tu non conosci la via del vento, né come si formino le ossa in seno alla donna incinta, così non conosci l’opera di Dio, che fa tutto. 6 Fin dal mattino semina la tua semenza e la sera non dar posa alle tue mani; poiché tu non sai quale dei due lavori riuscirà meglio: se questo o quello, o se ambedue saranno ugualmente buoni.

Ec 9:7-10

7 La luce è dolce, ed è cosa piacevole agli occhi vedere il sole. 8 Se dunque un uomo vive molti anni, si rallegri tutti questi anni e pensi ai giorni delle tenebre, che saranno molti; tutto quello che avverrà è vanità.

Ho conosciuto una persona che si era convertito con il versetto 11:1 e vi aveva costruito la sua vita. Aveva un figlio disabile psichico…

Poi questo cogliere il momento giusto diviene il tempo favorevole per fare le cose giuste e vere. Riprende il versetto 9:10: Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze

Capitolo 12

Il tempo favorevole per cercare Dio Ec 5:17-19; Sl 119:9; 90:1, ecc.; 1Gv 2:15-17

12:1 Rallègrati pure, o giovane, durante la tua adolescenza, e gioisca pure il tuo cuore durante i giorni della tua giovinezza; cammina pure nelle vie dove ti conduce il cuore7 e seguendo gli sguardi dei tuoi occhi; ma sappi che, per tutte queste cose, Dio ti chiamerà in giudizio! 2 Bandisci dal tuo cuore la tristezza, e allontana dalla tua carne la sofferenza; poiché la giovinezza e l’aurora sono vanità. 3 Ma ricòrdati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che8 vengano i cattivi giorni e giungano gli anni dei quali dirai: «Io non ci ho più alcun piacere»; 4 prima che il sole, la luce, la luna e le stelle si oscurino9, e le nuvole tornino dopo la pioggia: 5 prima dell’età in cui i guardiani della casa tremano, gli uomini forti si curvano, le macinatrici si fermano perché sono ridotte a poche, quelli che guardano dalle finestre si oscurano, 6 i due battenti della porta si chiudono sulla strada perché diminuisce il rumore della macina; in cui l’uomo si alza al canto dell’uccello, tutte le figlie del canto si affievoliscono, 7 in cui uno ha paura delle alture, ha degli spaventi mentre cammina, in cui fiorisce il mandorlo10, la locusta si fa pesante, e il cappero non fa più effetto perché l’uomo se ne va alla sua dimora eterna e i piagnoni percorrono le strade; 8 prima che il cordone d’argento si stacchi, il vaso d’oro si spezzi, la brocca si rompa sulla fonte, la ruota infranta cada nel pozzo; 9 prima che la polvere torni alla terra com’era prima, e lo spirito torni a Dio che l’ha dato.

10 «Vanità delle vanità», dice l’Ecclesiaste, «tutto è vanità».

Qui è come concluso, ma qualcuno o forse due per altri interpreti hanno aggiunto due epiloghi.

C’è il problema dell’attribuzione della conclusione (e se il messaggio sia lontano o in linea) e della fede fine a sé stessa.

Timore di Dio e ubbidienza Pr 1:1-7 (De 10:12-13; Gb 28:28; Mi 6:8; Ap 20:11-15)

11 L’Ecclesiaste, oltre a essere un saggio, ha anche insegnato al popolo la scienza, e ha ponderato, scrutato e messo in ordine un gran numero di sentenze. 12 L’Ecclesiaste si è applicato a trovare parole gradevoli; esse sono state scritte con rettitudine, e sono parole di verità. 13 Le parole dei saggi sono come degli stimoli, e le collezioni delle sentenze sono come chiodi ben piantati; esse sono date da un solo pastore.11 14 Del resto, figlio mio, sta’ in guardia: si fanno dei libri in numero infinito; molto studiare è una fatica per il corpo.

L’idea degli stimoli è assolutamente nel senso dell’opera. Mentre la questione dei libri in infinito sembra prendersela con altri che abbondano di cose superflue, ma non con L’Ecclesiaste stesso.

15 Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti12 , perché questo è il tutto per l’uomo13. 16 Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male.

Da notare che come differenze: i comandamenti non erano mai comparsi, ma invece c’era il timore di Dio.

E il tema del giudizio che sembra proprio assente dall’Ecclesiaste per cui pare ci sia più uno Sheol, dà una prospettiva di giustizia finale, di cui si sentiva da un punto di vista del credente una mancanza.

Possiamo dire che è un’aggiunta non del tutto in linea, ma ne rappresenta una interpretazione alla luce dell’intera Bibbia di cui il libro fa infine parte.

Varie

Qohelet: lo strano profeta che amava la carne (Oscar Wilde)

Hengel

Martin Hengel in “Giudaismo ed ellenismo” nota che rispetto alla Sapienza classica l’Ecclesiaste neghi la connessione causale fra azione e risultato, proclama l’assoluta insondabilità dell’agire divino nella storia umana.

Inoltre nota l’individualismo che quel mondo comincia a portare e a cui anche il territorio di Israele partecipa.

Guadagno. Morte come inevitabile senza rispetto a come si è vissuto. Problema del tempo/momento come kairos. Accettare i doni di Dio come cosa positiva del timore del Signore.

Il carpe diem e il disinteresse degli dei per gli esseri umani sono contemporanei in Grecia all’Ecclesiaste in alcuni pensatori.

La crisi della religione tradizionale greca portò ad una critica agli dei, che si disinteressano ed infine non esistono e ad una accettazione del destino sempre più impersonale e casuale.

Individualismo (viene dal contatto con la borghesia ellenistica?) No al concetto di retribuzione in base ad un’analisi critica scientifica potremmo dire? Pochezza della vita borghese dell’epoca?

Sonetto del Belli

Er caffettiere fisolofo1

L’ommini de sto Monno sò ll’istesso
che vvaghi2 de caffè nner mascinino:
c’uno prima, uno doppo, e un antro3 appresso,
tutti cuanti però vvanno a un distino.

Spesso muteno sito, e ccaccia spesso
er vago grosso er vago piccinino,
e ss’incarzeno4 tutti in zu l’ingresso
der ferro che li sfraggne in porverino. 5

E ll’ommini accusí vviveno6 ar Monno
10misticati7 pe mmano de la sorte
che sse li ggira tutti in tonno in tonno;

e mmovennose8 oggnuno, o ppiano, o fforte,
senza capillo9 mai caleno a ffonno
pe ccascà nne la gola de la Morte.

Roma, 22 gennaio 1833

Note 1 Filosofo. 2 Chicchi. 3 Altro. 4 S’incalzano. 5 Polvere. 6 Vivono. 7 Mescolati. 8 Movendosi. 9 Capirlo.

Tamez

Elsa Tamez in una visione tipica latinoamericana, ne vede nel Qohelet una resistenza all’imperialismo nella situazione del tempo come un capitalismo nascente dell’epoca dei Tolomei, in cui c’è l’efficienza dello sfruttamento e l’instaurazione di uno scambio monetario centralizzato, e il Tempio come istituzione di un popolo reso impuro per legge e quindi con una costante necessità di purificazione.

Traduce l’inizio con “una schifezza, una grandissima schifezza”

Qohelet è contro il suo tempo, contro la sua società. E non c’è futuro perché viene impedito di immaginare un sostanzialmente altro.

A ogni uomo, in questo mondo, vengono proposte due domande di fede, la prima circa la credibilità di questa vita, la seconda circa la credibilità del suo fine. A entrambe queste domande il semplice fatto della vita di ciascuno di noi risponde con un «sì» così forte ed esplicito, che potrebbe sorgere il dubbio se le domande siano state intese a dovere. Ad ogni modo, ora bisogna che ognuno vada conquistando pian piano questo suo «sì» fondamentale, perché, molto al di sotto della sua superficie, le risposte, aggredite da una tempesta di domande, sono confuse ed evasive. (da Franz Kafka IV quaderno)


  1. Metterli alla prova nel senso di provarli, purificare, selezionare, passare al setaccio.↩︎
  2. ruach↩︎
  3. hevel↩︎
  4. ruach↩︎
  5. Il soffio vitale che va in alto, sembra a Hengel che l’Ecclesiaste lo ponga in dubbio e che sia di derivazione greca.↩︎
  6. ruach↩︎
  7. Va dove ti porta il cuore è un’altra traduzione, usata in un libro che rifletteva sull’Ecclesiaste e poi in un romanzo di successo↩︎
  8. Qui si descrive l’arrivo della vecchiaia in modo poetico, oppure come dicono altri una casa che crolla (o il crollo della società che essa rappresenta), un funerale, la distruzione escatologica del cosmo?↩︎
  9. non un riferimento escatologico, ma all’abbassamento della vista e alla cataratta↩︎
  10. riferimento alla canizie?↩︎
  11. Qui dovrebbe essere un primo che conclude l’opera, un seguace dell’Ecclesiaste.↩︎
  12. Deu 4:6 Le osserverete dunque e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra sapienza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: «Questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente!»↩︎
  13. Si noti che per Leibowitz questo non è un versetto che edulcora il messaggio di Qohelet, ma una conclusione in linea con la visione ebraica di una fede fine a sé stessa. L’autore dice che la domanda del libro è sul quale vantaggio si abbia, invece la conclusione dice non che sia il bene, ma chi sia l’essere umano↩︎