Lettera di Giacomo

Appunti di Stefano D’Archino del marzo 2021

Introduzione

Questa lettera, a confronto con le altre del Nuovo Testamento, fu giudicata “di paglia” da Martin Lutero, e quindi posta in fondo alla sua traduzione nella prima edizione, come lettura utile, ma forse non ispirata. Anche se poi Lutero modificò un po’ il suo giudizio, questo pesò negli studi e nella lettura.

Fu compresa e giudicata meglio da Giovanni Calvino, più che porsi in contrasto con l’annuncio di sola grazia dell’apostolo Paolo, è in un certo senso un seguito etico. E non che nelle lettere paoline questo mancasse.

La lettera risulta infatti come una serie di esortazioni a vario titolo, e non certo come un trattato sulla salvezza.

Ricezione e attribuzione

L’attribuzione incerta ne ha tardato l’attribuzione nel canone specie da parte della chiesa latina. Infatti, uno dei criteri oltre l’antichità ne era l’attribuzione apostolica.

E dubbi c’erano su chi ne fosse l’autore (anche se fosse pseudo-epigrafica anche se a parte il nome non fa nulla per mascherarsi).

Detto questo di quale Giacomo si parla? È uno sconosciuto oppure è citato nei vangeli?

Molti sono i Giacomo presenti nel Nuovo Testamento, perché nome piuttosto comune. Tradizionalmente (ma abbastanza tardi) è stata attribuita a Giacomo fratello (e non fratellastro come scritto nell’introduzione della Nuova Riveduta, termine che è forse peggiore di cugino…) del Signore.

Si vedano i seguenti passi:

Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra di noi? Da dove gli vengono tutte queste cose?» Matteo 13:55-56

Poi, dopo tre anni, salii a Gerusalemme per visitare Cefa e stetti da lui quindici giorni; e non vidi nessun altro degli apostoli, ma solo Giacomo, il fratello del Signore. Galati 1:18-19

riconoscendo la grazia che mi era stata accordata, Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne, diedero a me e a Barnaba la mano destra in segno di comunione perché andassimo noi agli stranieri, ed essi ai circoncisi; soltanto ci raccomandarono di ricordarci dei poveri, come ho sempre cercato di fare. Galati 2:9-10

In Atti 15 e poi 21 lo vediamo come “vescovo” di Gerusalemme dalla parte delle chiese giudeocristiane. E questo potrebbe ben andare in linea con le tematiche della lettera. Dove per altro non c’è accenno a parentela o altro, come a dire che chi riceveva la lettera doveva ben sapere da chi provenisse.

Per la datazione se fosse proprio Giacomo fratello del Signore, sarebbe un documento fra i più antichi del Nuovo Testamento, magari il 60, se invece di altri potrebbe essere perfino dell’inizio del secondo secolo.

Analisi del testo

Indirizzo e saluti

Giacomo 1:1 Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.

Ecco qui il saluto molto semplice in cui si dice che chi scrive sia Giacomo, senza altri riferimenti.

Anche perché mancano riferimenti precisi ai destinatari, sembra proprio una lettera circolare, una enciclica, da cui il nome di lettere cattoliche (cioè universali).

Le 12 tribù di Israele, allora, rappresenterebbero la chiesa. Probabilmente giudeo-cristiani. (Si riuniscono in sinagoga).

Sono disperse nel mondo, quindi fuori della Giudea. In realtà, le tribù sopravvissute alla deportazione assira erano formalmente solo due Giuda e Beniamino, ma che era così piccola da essere inglobata. Per cui il riferimento alle 12 tribù era una visione messianica del ristabilimento di Israele, quindi per i cristiani come se la chiesa fosse il popolo di Dio ristabilito.

Si noti che il riferirsi a fratelli sia più probabile fra cristiani. Non sembra ci sia da polemizzare, si intendevano al tempo anche le sorelle.

Prove e tentazioni

Si inizia con una parte che parla di saggezza, alla maniera di antichi sapienti.

Giacomo 1:2-15 2 Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate, 3 sapendo che la prova della vostra fede produce costanza. 4 E la costanza compia pienamente l’opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti.

5 Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data. 6 Ma la chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita è simile a un’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. 7 Un tale uomo non pensi di ricevere qualcosa dal Signore, 8 perché è di animo doppio, instabile in tutte le sue vie.

9 Il fratello di umile condizione sia fiero della sua elevazione; 10 e il ricco, della sua umiliazione, perché passerà come il fiore dell’erba. 11 Infatti il sole sorge con il suo calore ardente e fa seccare l’erba, e il suo fiore cade e la sua bella apparenza svanisce; anche il ricco appassirà così nelle sue imprese.

12 Beato l’uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promessa a quelli che lo amano.

13 Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio», perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno; 14 invece ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce. 15 Poi la concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compiuto, produce la morte.

Ricorda un poco l’Ecclesiaste, sia per la sapienza che si tempra con le esperienze, sia per espressioni come il fiore dell’erba.

Le prove sono per la fede. Anche la sapienza è una sapienza di fede.

La preghiera costante (come in tutta la lettera si ha questo invito nella preghiera) è opposta ad una preghiera di persona piena di dubbi. NOn è quindi una preghiera costante nel senso che sempre chiede e chiede, ma fatta con animo sicuro nell’intervento e ascolto divino.

Importante notare che Giacomo non parli di Satana, qua che poteva essere proprio il luogo, sia perché non era qualcosa di così pervasivo come in tempi successivi, sia perché sempre in ultimo ci si rifà sempre alla responsabilità umana.

Concupiscenza. Bramosia. Qui non come peccato in sé, come per alcuni sapienti ellenisti.

Da qui deriva la traduzione del Padre Nostro, non esporci o non abbandonarci alla tentazione, invece che non indurci.

Mettere in pratica la Parola di Dio

Giacomo 1:16-27 16 Non v’ingannate, fratelli miei carissimi; 17 ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c’è variazione né ombra di mutamento. 18 Egli ha voluto generarci secondo la sua volontà mediante la parola di verità, affinché in qualche modo siamo le primizie delle sue creature. 19 Sappiate questo, fratelli miei carissimi: che ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira; 20 perché l’ira dell’uomo non compie la giustizia di Dio. 21 Perciò, deposta ogni impurità e residuo di malizia, ricevete con dolcezza la parola che è stata piantata in voi, e che può salvare le anime vostre.

22 Ma mettete in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi. 23 Perché, se uno è ascoltatore della parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; 24 e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com’era. 25 Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta, cioè nella legge della libertà, e in essa persevera, non sarà un ascoltatore smemorato, ma uno che la mette in pratica; egli sarà felice nel suo operare.

26 Se uno pensa di essere religioso, ma poi non tiene a freno la sua lingua e inganna se stesso, la sua religione è vana. 27 La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni, e conservarsi puri dal mondo.

Non vi ingannate, lett. non andate fuori strada.

Ascoltare è sottinteso la Parola di Dio.

Padre degli astri usato all’epoca nell’ebraismo, anche se non direttamente biblico.

L’idea di mettere in pratica la Parola di Dio e non solo ascoltarla, non è certo in contrasto con l’apostolo Paolo. Non c’è qui nessun atteggiamento pelagiano (Egli ha voluto generarci). Certamente quell’illudere sé stessi può essere inteso da un cattolico come una “collaborazione” necessaria, ma la legge della libertà sembra invece richiamare un atteggiamento paolino. Deporre ogni residuo (dopo che siamo stati convertiti) significa cercare di vivere in linea con la Parola.

La legge della libertà richiama infatti ad esempio: Romani 6:18 liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. La libertà era associata al II patto. Si veda dopo però quando la questione delle opere è trattata con più spazio.

Religione, sarebbe propriamente culto. Quindi il vero culto è soccorrere…Non una questione di fede, ma di mettere in pratica la propria fede. Tipico dei profeti il riferimento agli orfani e alle vedove.

Condanna del favoritismo

La lettera prosegue con un ampio esempio.

Giacomo 2:1-13 Fratelli miei, la vostra fede nel nostro Signore Gesù Cristo, il Signore della gloria, sia immune da favoritismi. 2 Infatti, se nella vostra adunanza entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente, e vi entra pure un povero vestito malamente, 3 e voi avete riguardo a quello che veste elegantemente e dite: «Tu, siedi qui al posto d’onore»; e al povero dite: «Tu, stattene là in piedi», o «siedi in terra accanto al mio sgabello», 4 non state forse usando un trattamento diverso e giudicando in base a ragionamenti malvagi?

5 Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? 6 Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi quelli che vi opprimono e vi trascinano davanti ai tribunali? 7 Non sono essi quelli che bestemmiano il buon nome che è stato invocato su di voi?

8 Certo, se adempite la legge regale, come dice la Scrittura: «Ama il tuo prossimo come te stesso», fate bene; 9 ma se avete riguardi personali, voi commettete un peccato e siete condannati dalla legge quali trasgressori. 10 Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti. 11 Poiché colui che ha detto: «Non commettere adulterio», ha detto anche: «Non uccidere». Quindi, se tu non commetti adulterio ma uccidi, sei trasgressore della legge. 12 Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo la legge di libertà. 13 Perché il giudizio è senza misericordia contro chi non ha usato misericordia. La misericordia invece trionfa sul giudizio.

Adunanza è letteralmente sinagoga, che ha proprio questo valore. Però da qui si sostiene l’ipotesi di gruppi giudeo-cristiani oppure che si riunissero ancora in sinagoghe (come appare in alcune descrizioni di Atti e dell’apostolo Paolo).

Immune, anche non mescolata.

Sul trasgredire la legge in un sol punto per tutti i punti, si osservi che già usato in ambito ebraico con l’esempio della siepe che si oltrepassa.

Il buon nome è quello forse di Cristo al battesimo del credente?

La fede e le opere

Qui si arriva ad uno dei brani in cui si è visto il contrasto con l’apostolo Paolo.

Si faccia attenzione al “se uno dice di aver fede”. Per lacuni dopo si dovrebbe tradurre “quella” fede può salvarlo? Essendoci l’articolo determinativo in greco.

Giacomo 2:14-26 14 A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? 15 Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, 16 e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? 17 Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta. 18 Anzi, uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la fede». 19 Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano. 20 Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? 21 Abraamo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull’altare? 22 Tu vedi che la fede agiva insieme alle sue opere e che per le opere la fede fu resa completa; 23 così fu adempiuta la Scrittura che dice:

«Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto come giustizia»;

e fu chiamato amico di Dio. 24 Voi vedete che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto. 25 E così Raab, la prostituta, non fu anche lei giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li fece ripartire per un’altra strada? 26 Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.

Anche Paolo usa l’esempio di Abramo, ma come esempio di fede.

Qui il centro è che una fede vera è una fede non solo a parole, ma che si traduce in una vita rinnovata e attiva. Il parallelo sono i rimproveri di Paolo a certi di Corinto che ne facevano solo una predisposizione mentale, quello che avviene anche nello gnosticismo.

La fede a buon mercato di Bonhoeffer sembra parlare di questo tipo di fede superficiale. Qualcosa di totalmente assente nell’apostolo Paolo come nei Riformatori.

Ovviamente se tutti gli evangelici sono d’accordo fino a questo punto, le differenze vengono quando si tratta di giudicare le opere. Giacomo era stato chiaro in precedenza, ma specificare in pratica è difficile. I protestanti tendono a fidarsi della responsabilità personale, altri insistono su delle classificazioni.

Comunque, nei versetti che seguono la frase che “manchiamo tutti in molte cose”, è indice di una mentalità non farisaica anche in Giacomo, in linea con il messaggio cristiano del tutti peccatori e del bisogno di un Salvatore. Tutte le discussioni dovrebbero aver per base, a mio avviso, questo punto.

Esortazione a tenere a freno la lingua

Ora Giacomo torna sul linguaggio cui già aveva accennato prima. Anche il parlare è un’opera.

Giacomo 3:1-12 Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che ne subiremo un più severo giudizio, 2 poiché manchiamo tutti in molte cose.

Come ho osservato prima questa idea di non giudicare, anzi di essere tutti mancanti dinnanzi al Signore è tipicamente cristiana e non farisaica. È strano ma qui, proprio in questa lettera per Lutero di paglia, quest’affermazione sembra anticipazione del Simul iustus et peccator dello stesso Lutero.

Come dicevo però questo capitolo che inizia sul non fare in molti da maestri, che potremo dire parla come cristiano solo di quello di cui sei realmente sicuro, è incentrato proprio sul tema del parlare, della lingua.

Se uno non sbaglia nel parlare è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. 3 Se mettiamo il freno in bocca ai cavalli perché ci ubbidiscano, noi possiamo guidare anche tutto il loro corpo. 4 Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e siano spinte da venti impetuosi, sono guidate da un piccolo timone, dovunque vuole il timoniere. 5 Così anche la lingua è un piccolo membro, eppure si vanta di grandi cose. Osservate: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! 6 Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità. Posta com’è fra le nostre membra, contamina tutto il corpo e, infiammata dalla geenna, dà fuoco al ciclo della vita. 7 Ogni specie di bestie, uccelli, rettili e animali marini si può domare, ed è stata domata dalla razza umana; 8 ma la lingua, nessun uomo la può domare; è un male continuo, è piena di veleno mortale. 9 Con essa benediciamo il Signore e Padre; e con essa malediciamo gli uomini che sono fatti a somiglianza di Dio. 10 Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni. Fratelli miei, non dev’essere così. 11 La sorgente getta forse dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? 12 Può forse, fratelli miei, un fico produrre olive, o una vite fichi? Neppure una sorgente salata può dare acqua dolce.

Ci sono anche dei paralleli nei testi antichi. Qui si sviluppa con immagini vivaci.

La prima parte c’è l’influsso del parlare sull’intero corpo, i grandi effetti che essa può produrre. “Come un colpo di cannone” nel Berbiere di Siviglia è la calunnia, il pettegolezzo…Certo fin qui si potrebbe anche dire ciò in positivo “verba volant”, ma al versetto 6 è chiara invece l’ammonizione, che l’autore pensa al suo uso distruttivo.

Addirittura è infernale, il fuoco della geenna. In effetti non solo c’è la malignità, ma c’é anche la doppiezza. Dunque un segno ancor di più diabolico (da diavolo bugiardo). E qui usa l’immagine della sorgente e quella dell’albero e dei frutti.

Qui abbiamo paralleli a quei detti di Gesù sui falsi profeti che si riconoscono dai frutti (Matteo 7:16-20 o anche 12:33-37), comunque con quello stile di insegnamento, ma anche altri paralleli antichi. Ed in effetti dal punto dei termini specifici è la più greca delle pericopi della lettera.

È chiaro che questa parte sia rivolta a tutti, ma sia per i versetti iniziali del capitolo, sia per quelli successivi sembra che sia rivolta più in particolare a chi ha funzioni di guida nelle chiese (Ma, ovviamente, in una visione protestante, tutti hanno il loro ruolo e importanza).

Sapienza umana e sapienza che viene dall’alto

Giacomo 3:13-18 13 Chi fra voi è saggio e intelligente? Mostri con la buona condotta le sue opere compiute con mansuetudine e saggezza. 14 Ma se avete nel vostro cuore amara gelosia e spirito di contesa, non vi vantate e non mentite contro la verità. 15 Questa non è la saggezza che scende dall’alto; ma è terrena, naturale e diabolica. 16 Infatti, dove c’è invidia e contesa, c’è disordine e ogni cattiva azione. 17 La saggezza che viene dall’alto anzitutto è pura; poi pacifica, mite, conciliante, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale, senza ipocrisia. 18 Il frutto della giustizia si semina nella pace per coloro che si adoperano per la pace.

Notate ancora la natura diabolica che crea divisione e inquina i rapporti. Mente, mansuetudine e mitezza richiamano sia il Sermone sul Monte, sia caratteristiche del Cristo che troviamo nel Nuovo Testamento (ad esempio: II Corinzi 10:1 “vi esorto per la mansuetudine e la mitezza di Cristo”).

Il frutto della giustizia si semina nella pace, appare poi in una forma proverbiale un insegnamento realmente generale. Si potrebbe farne un criterio sociale, se no fosse che è sorretto da una visione di fede.

Però la questione non è generica in Giacomo, infatti prosegue mostrando come nelle chiese cui scrive ci siano contese e vere e proprie guerre, anche se i toni sembrano andare oltre. Le guerre e le uccisioni sono simboliche o riferite al mondo o reali? Molto dipende dalla punteggiatura proposta e dall’interpretazione. Invidiate invece che uccidete. Desiderate, perciò uccidete… Potrebbe succedere, più che succede?

L’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio

Giacomo 4:1-12 Da dove vengono le guerre e le contese tra di voi? Non derivano forse dalle passioni che si agitano nelle vostre membra? 2 Voi bramate e non avete; voi uccidete e invidiate e non potete ottenere; voi litigate e fate la guerra; non avete, perché non domandate; 3 domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vostri piaceri. 4 O gente adultera, non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. 5 Oppure pensate che la Scrittura dichiari invano che: «Lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi ci brama fino alla gelosia»? 6 Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili».

7 Sottomettetevi dunque a Dio; ma resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi. 8 Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi. Pulite le vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o doppi d’animo! 9 Siate afflitti, fate cordoglio e piangete! Sia il vostro riso convertito in lutto, e la vostra allegria in tristezza! 10 Umiliatevi davanti al Signore, ed egli v’innalzerà.

11 Non sparlate gli uni degli altri, fratelli. Chi dice male del fratello, o chi giudica il fratello, parla male della legge e giudica la legge. Ora, se tu giudichi la legge, non sei uno che la mette in pratica, ma un giudice. 12 Uno soltanto è legislatore e giudice, colui che può salvare e perdere; ma tu chi sei, che giudichi il tuo prossimo?

È interessante notare che la citazione introdotta con “pensate che la Scrittura” non è né nell’Antico né nel Nuovo Testamento.

Probabilmente è una citazione tratta dal Testamento di Simeone, uno dei “Testamenti dei 12 patriarchi”, un apocrifo dell’Antico Testamento. Dobbiamo ritenere che visto che lo riteneva Scrittura si debba inserire quell’opera nel Canone? Ovviamente nessuno lo pensa, ma questa domanda ci tiene all’erta sul non avere automatismi, ma una discussione e riflessione sulla canonicità stessa. La risposta più semplice è che Giacomo, come spesso gli antichi, citassero a memoria e che non era ancora chiusa del tutto la discussione sul Canone dell’Antico Testamento. (Scritti di Qumram fra l’altro riportano brani del 12 patriarchi).

Comunque la prima parte del capitolo 4 pur complessa nella traduzione è chiara nel significato, in linea con il resto della lettera, di perseguire la via di Dio.

L’umiliazione davanti al Signore non è una via di mortificazione umana, ma un chiedere perdono al Signore. Lo sparlare riprende nella tensione a giudicare il fratello quello di tenere a freno la lingua.

Condanna dei trafficanti e dei ricchi oppressori

Giacomo 4:13 – 5:6 13 E ora a voi che dite: «Oggi o domani andremo nella tale città, vi staremo un anno, trafficheremo e guadagneremo»; 14 mentre non sapete quel che succederà domani! Che cos’è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce. 15 Dovreste dire invece: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest’altro». 16 Invece voi vi vantate con la vostra arroganza. Un tale vanto è cattivo. 17 Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato.

Troviamo qui un’affermazione quasi proverbiale. La cosiddetta clausola di Giacomo che veniva effettivamente riportata anche sui contratti ad esempio dei puritani inglesi. “D.v.” “Deo volente“. Bisogna stare attenti che questa clausola potrebbe divenire solo un’abitudine. Ma non solo. La imprevedibilità del nostro domani fa parte da sempre delle affermazioni della sapienza umana. Qui invece c’è il riconoscimento della sovranità di Dio, che vine dopo l’invito ad umiliarsi davanti a Dio. C’è di mezzo la superbia umana, più che l’incertezza dell’avvenire.

Si noti questo definirsi un vapore come ricorda la vanità dell’Ecclesiaste.

In questo senso è un’arroganza cattiva, secondo la mentalità del mondo, uno schema che è in tutta la lettera. E il versetto 17 allora che appare staccato dal contesto, è invece un aggiungere che il progetto di fare tante cose secondo lo spirito mondano porta, non solo a non fare affidamento su Dio, ma sulle proprie forze, ma anche a non fare il bene, che è un peccato di omissione.

In effetti anche Gesù sottolinea i peccati di omissione, come nella parabola dei talenti o anche in quella del buon samaritano, in cui gli altri si astengono dal soccorso e non trasgrediscono in maniera attiva un comandamento. Ed anche quella del giorno del giudizio delle pecore e dei capri per ciò che non si è fatto.

In questa massima di Giacomo si trova tutta la forza della predicazione di Gesù, e l’umiliarsi dinnazi a Dio e chiedergli perdono acquista tutta la sua urgenza per ognuno.

Il discorso di Giacomo diviene poi quello di un profeta antico:

5:1 A voi ora, o ricchi! Piangete e urlate per le calamità che stanno per venirvi addosso! 2 Le vostre ricchezze sono marcite e le vostre vesti sono tarlate. 3 Il vostro oro e il vostro argento sono arrugginiti, e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori negli ultimi giorni. 4 Ecco, il salario da voi frodato ai lavoratori che hanno mietuto i vostri campi grida; e le grida di quelli che hanno mietuto sono giunte agli orecchi del Signore degli eserciti. 5 Sulla terra siete vissuti sfarzosamente e nelle baldorie sfrenate; avete impinguato i vostri cuori in tempo di strage. 6 Avete condannato, avete ucciso il giusto. Egli non vi oppone resistenza.

Sembra che il tono della lettera sia più generale che verso i cristiani del tempo, ma magari alcuni ricchi lo erano.

Qui la ricchezza che è condannata è quella ottenuta con l’ingiustizia, uccidendo il giusto perfino, aver accumulato tesori probabilmente dandogli un valore in confronto a Dio (Dio e Mammona) ed infine per le baldorie, non usandoli per fare il bene.

Non ci sono solo paralleli dell’antico testamento e di Gesù, ma anche paragoni classici. In un testo di uno storico moderno, Passare per la cruna di un ago, come la chiesa divenne ricca. Si descrive come i ricchi dell’Impero romano avessero l’obbligo sociale di fornire pane e divertimenti alla comunità, di sistemare templi e strade con le loro ricchezze. E che di solito lo eseguivano in una sorta di patto sociale per garantire legittimità alle proprie ricchezze. Anche i primi cristiani ricchi facevano così, e poi si sviarono i flussi di denaro verso i monaci, poveri per scelta, costituendo poi la base della ricchezza della chiesa.

Chiaramente quest’invettiva di Giacomo ci fa riflettere ancora oggi che il sistema delle imposte serve a una ridistribuzione del reddito e via dicendo, non contro i ricchi e la ricchezza tout-court, ma contro l’ingiustizia e l’uso smodato e sprezzante delle ricchezze. (Ricordo una persona che diceva “ci sono poveri che sono poveri per la loro incapacità e dissolutezza”, ma sappiamo che ci sono tante persone in miseria per dei meccanismi ingiusti del mondo).

Esortazioni diverse

Giacomo 5:7-20 7 Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Osservate come l’agricoltore aspetta il frutto prezioso della terra pazientando, finché esso abbia ricevuto la pioggia della prima e dell’ultima stagione. 8 Siate pazienti anche voi; fortificate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Le ultime esortazioni della lettera vengono introdotte da questo riferimento ai tempi di Dio.

Sembra dunque che l’invettiva contro gli ingiusti ricchi arriva come nei salmi per confrontare il giusto che ne soffre il potere. Non bisogna pensare di fare come gli ingiusti, anche se sono di successo nel mondo, perché con pazienza si avrà il frutto della giustizia con il ritorno del Signore. E questo ritorno è vicino.

L’impazienza e il non controllo di sé sono ovviamente temi classici della sapienza, ma qui c’è da dire che la vicinanza del ritorno del Signore παρουσία (parousia) è tema di tutto il Nuovo Testamento.

Questa vicinanza è sia in senso proprio, come nelle prime lettere di Paolo, sia un senso più traslato, vicino perché abbiamo abbastanza risorse per aspettare o anche che il suo Regno è vicino per la brevità della nostra vita o per la potenza del suo Spirito che ce lo rende vicino.

Ecco dunque il tema della pazienza, come nei profeti, che è anche base della fraternità nella chiesa.

9 Fratelli, non lamentatevi gli uni degli altri, affinché non siate giudicati; ecco, il giudice è alla porta. 10 Prendete, fratelli [miei], come modello di sopportazione e di pazienza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore. 11 Ecco, noi definiamo felici quelli che hanno sofferto pazientemente. Avete udito parlare della costanza di Giobbe, e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è pieno di compassione e misericordioso.

Poi si inserisce il tema del giuramento, versetti che hanno segnato i movimenti detti ereticali del medioevo come i valdesi.

12 Soprattutto, fratelli miei, non giurate né per il cielo né per la terra, né con altro giuramento; ma il vostro sì sia sì, e il vostro no sia no, affinché non cadiate sotto il giudizio1.

Considerate nel Medioevo questo non voler giurare, quale forza dirompente avesse in una società, quella feudale, basata sui giuramenti.

Adesso il giuramento si intende per motivi legali, in modo che sia chiaro ciò che si chiede e le conseguenze della falsa testimonianza (che andrebbe poi direttamente contro uno dei 10 comandamenti).

Qui sembra di più che il problema sia l’uso di inflazionare con giuramenti il proprio parlare per farsi credere. Magari del tutto a sproposito. Non si capisce per quale motivo sia qui questo tema, forse il motivo di partenza è la doppiezza nel parlare che incrina la fiducia dell’altro e quindi la fraternità, cui non serve giurare ma esser chiari e onesti.

13 C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi. C’è qualcuno di animo lieto? Canti degli inni.

Ci sono passi simili nelle lettere di Paolo, ad esempio Filippesi 4:6 Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti.

Comunque nell’avversità, come nella gioia, ci si rivolga al Signore. E qui viene accostato, per quanto detto, il tema della malattia.

14 C’è qualcuno che è malato? Chiami gli anziani della chiesa ed essi preghino per lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore: 15 la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà; se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati.

16 Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti; la preghiera del giusto ha una grande efficacia. 17 Elia era un uomo sottoposto alle nostre stesse passioni, e pregò intensamente che non piovesse, e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. 18 Pregò di nuovo, e il cielo diede la pioggia, e la terra produsse il suo frutto.

In questi versetti la Chiesa Cattolica Romana ha visto la base scritturale dell’unzione degli infermi e della confessione auricolare. Senza essere polemici è chiaro che se anche fosse non c’è qui fondazione “sacramentale” nè tanto meno una istituzionalizzazione di queste pratiche.

Sacramento nel senso che si usa di solito non è un termine biblico. In greco si trova mistero, mutuato dalle religioni misteriche, ma che non si riferisce al Battesimo e alla Cena. È inteso come un gesto liturgico con un carattere simbolico, con legata una promessa di Dio. Su come si realizzi la promessa c’è poi ampio dibattito. La definizione che ne dà Agostino: “Accedit verbum ad elementum et fit sacramentum” (Si unisca la parola all’elemento e si ha il sacramento) Che vale per Battesimo e Cena, ma non per penitenza…

Il tema è complicato dal fatto che il testo è assertivo, “si chiami” e “guarirà”, non sembra una possibilità su cui tutti sarebbero d’accordo, ma una cosa definita. Attenzione che non è l’olio che guarisce, ma il Signore che risponde alla preghiera fatta con fede.

Inoltre, c’è la spinosa questione del collegare infermità ai peccati. Qualcosa di negato in alcune occasioni dal Signore stesso. Anche qui si potrebbe affermare che in taluni casi, anche biblici come le piaghe d’Egitto, ci siano malanni o catastrofi mandate dal Signore, ma sempre e in ogni caso è smentito ad esempio dall’episodio del cieco nato.

Si può affermare che nel contesto di fraternità della chiesa c’è una cura, basata sulla fede (ma che non usa solo questa), verso i problemi fisici e morali dei confratelli e consorelle.

L’esempio di Elia è l’esempio del campione delle fede, così come si era venuto a formare nell’idealîzzazione del tempo. Però il fatto che è “sottoposto alle nostre stesse passioni” significa che come ha potuto farlo lui potrà farlo ciascun credente.

L’ultimo versetto, sempre sulla coesione della comunità, ci rafforza nell’idea che tuta la sezione è incentrata sulla fraternità e non su un tema sacramentale che allora non era affatto presente.

19 Fratelli miei, se qualcuno tra di voi si svia dalla verità e uno lo riconduce indietro, 20 costui sappia che chi avrà riportato indietro un peccatore dall’errore della sua via salverà l’anima del peccatore dalla morte e coprirà una gran quantità di peccati.

Anche qui coprire una grande quantità di peccati si riferisce al fatto che ritornando a Gesù Cristo si ha il perdono dei peccati. Si dovrebbe intendere teologicamente di tutti, il gran numero probabilmente è una sottolineatura che dice “anche se fossero moltissimi” e non che una parte è perdonata.

Non c’è una vera e propria conclusione, non saluti o una chiusa da lettera, ma come un appello all’unità della comunità.


  1. Matteo 5:33-37 Avete anche udito che fu detto agli antichi: “Non giurare il falso; da’ al Signore quello che gli hai promesso con giuramento”. 34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio; 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. 36 Non giurare neppure per il tuo capo, poiché tu non puoi far diventare un solo capello bianco o nero. 37 Ma il vostro parlare sia: “Sì, sì; no, no”; poiché il di più viene dal maligno.↩︎