Vi ricordo, fratelli, il vangelo che vi ho annunciato, che voi avete anche ricevuto, nel quale state anche saldi, mediante il quale siete salvati, purché lo riteniate quale ve l’ho annunciato; a meno che non abbiate creduto invano.
Poiché vi ho prima di tutto trasmesso, come l’ho ricevuto anch’io, che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture; che apparve a Cefa, poi ai dodici. Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo, poi a tutti gli apostoli; e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto; perché io sono il minimo degli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio.
Ma per la grazia di Dio io sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana; anzi, ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Sia dunque io o siano loro, così noi predichiamo, e così voi avete creduto.
I Corinzi 15:1-11
Questo testo, come forse purtroppo ben sapete, è spesso usato nei funerali, in quanto è un annuncio di resurrezione. Oggi però leggiamo questo testo per riflettere, certo anche sulla resurrezione, ma soprattutto sul “mestiere” dell’apostolo. E la lettura di appoggio: la chiamata dei dodici apostoli, l’ho scelta proprio per questo.
Come si vede dal nostro testo “apostolo” non è un termine solo per i “dodici apostoli”, ma un termine in uso nella chiesa primitiva per indicare tutti coloro che sono “inviati” dal Signore Gesù Cristo per portare l’evangelo, di cui la testimonianza della resurrezione del Cristo costituiva una parte integrante e fondamentale.
Quando ci chiediamo quale sia il nocciolo della fede cristiana, ecco che qui l’apostolo ne riporta un sunto essenziale e direi vitale. Spesso proprio nel periodo di grandi mutamenti e di erosione della consapevolezza cristiana, per vari motivi, ci si chiede quale sia dunque il nocciolo vero, senza tanto filosofeggiare della nostra fede. Ebbene qui ne abbiamo un sunto.
Però, prima Paolo sottolinea di non essere l’iniziatore di questa tradizione, pur essendo un “grande” apostolo riconosce di averla appresa, di essere un anello della catena di trasmissione. Ecco quando ci pensiamo come cristiani sappiamo di essere anche noi anelli di una catena di trasmissione. Riceviamo, magari con parole desuete, il messaggio di salvezza, e dobbiamo trasmetterlo agli altri dopo averci ragionato sopra e magari con un po’ della nostra interpretazione così che gli altri ci trovino il messaggio di vita che vi è saldamente connesso.
Nocciolo
Dunque il nocciolo della fede nella sintesi del testo è messo in tre punti:
1) Cristo morì per i nostri peccati. Aprendo così alla possibilità di aver una vita diversa, il peccato è la condizione dalla quale dovevamo essere liberati. È da questa condizione che giungono i peccati commessi, gli errori fatti e subiti e infine la nostra morte. L’annuncio cristiano è annuncio vitale, in quanto parla della vita e alla vita, che ci fa ringiovanire e trovar nuovo senso all’esistenza. Liberandoci dal peso dell’errore, del peccato.
Ciò è avvenuto secondo le Scritture, cioè come piano preordinato di Dio. Piano che possiamo conoscere e approfondire con l’investigare le Scritture. Cioè il nocciolo della fede è semplice, ma per capire come applicarlo alla nostra vita abbiamo le Scritture che ci danno aiuto.
2) Fu seppellito. Il riferimento alla sepoltura è fondamentale per affermare che Egli era veramente morto, non stiamo parlando di una trasformazione del corpo o un aggiramento dalla morte, né di qualcosa di simbolico, come spesso qualcuno osa affermare. Ma di una morte vera, morte come la nostra di noi mortali, a favore di noi mortali.
Inoltre, il riferimento alla sepoltura ci rende conto della immensa sorpresa dei discepoli, che ne avevano visto il corpo morto e lo avevano messo nella tomba, nel vederlo di nuovo in vita. Infatti:
3) Risuscitò ed è apparso. E tutto ciò sempre secondo le Scritture, che ce ne esplicitano come conseguenza la nostra resurrezione.
Ci sono dunque dei testimoni, di cui Paolo è solo uno di tanti, anzi l’ultimo. Infatti, Paolo si presenta come l’ultimo, probabilmente in ordine di tempo, e come indegno per essere stato prima un persecutore della chiesa.
I testimoni, infatti, sono molti, non solo gli 11. Di quei 500 i lettori della lettera potevano incontrarne alcuni. Si noti fra l’altro quel alcuni sono morti, che più letteralmente è si sono addormentati (che c’è nella traduzione tedesca e non italiana) per sottolineare proprio la certa speranza della resurrezione, e non per un eufemismo.
Ebbene proprio questi testimoni sono mandati nel mondo come apostoli, proprio per fare la loro testimonianza sulla resurrezione di Gesù Cristo!
Successivamente Paolo fa una digressione sulla sua azione in quegli anni. Notate la modestia di Paolo, che subentra subito dopo che ha appena detto che ha faticato più di tutti loro. Riferendosi probabilmente al fatto che ha girato in lungo e in largo la parte orientale dell’Impero romano, mentre loro sono stati più nelle loro zone (anche se si dice che Tommaso sia arrivato fino in India, da cui sarebbero nate le antiche chiese ortodosse indiane).
E ciò che ha lavorato è –dice Paolo– la grazia di Dio in lui. Vuol dire che non basta l’aver visto il Risorto, ma occorre la grazia che sia all’opera per noi. Su questo torneremo. Adesso veniamo a noi.
e noi?
Passando poi gli anni, e scomparsi coloro che avevano visto il Risorto, il termine apostolo non si usò più. Anche per una forma di rispetto, ma perché era ritenuto fondamentale aver visto il Risorto, essere testimoni di aver visto Gesù Cristo vivo dopo la morte.
Anche se il termine apostolo giustamente non si usa più, l’idea di essere inviati, sia pure non dal Cristo Risorto, ma dallo Spirito santo è comunque sempre valida. Ogni cristiano è un inviato, anche se non ci arroghiamo certo il titolo di apostoli, è mandato nella sua vita a testimoniare di Gesù Cristo e del suo messaggio: l’evangelo. Anche noi abbiamo da annunciare il nocciolo della fede e questa testimonianza di resurrezione.
È vero che la salvezza non è solo una questione di resurrezione, ma di una nuova vita che si vive partendo dall’aver fiducia in Gesù Cristo, ma questa fiducia si basa proprio sul fatto che una volta che la vita nostra è andata via, avremo una nuova vita per dono di Dio. La prospettiva futura infatti influenza la nostra vita attuale.
Non è solo questione di consolarsi quando stiamo male o stiamo prossimi alla fine, ma è anche questione di un aspetto propositivo rispetto alla vita. Un progetto futuro vitale per noi e per gli altri.
Grazia in azione
E in questo non siamo soli con le nostre forze ed idee. La grazia che lavora, che all’opera, in azione per l’apostolo Paolo, è anche in azione per noi.
La grazia, quella salvezza di Dio che arriva e ti dà fiducia, ma anche energia per vivere. È qualcosa che è non solo per gli altri verso cui ci rivolgiamo, certo è questa che passa attraverso le nostre azioni e parole, ma anche per noi stessi.
È la grazia che rinnova la nostra vita e ci fa ringiovanire! Affidiamoci dunque al Signore e camminiamo nelle strade del mondo sapendo di essere inviati dal Dio vivente. Amen