Domenica scorsa, ho detto che il grido dei discepoli a Pasqua è gioioso: Gesù Cristo è veramente risorto! È vero, ma non fu quella la prima reazione dei discepoli, alla mattina della resurrezione ci fu cecità, il non vedere e il non capire. Perché? E perché ciò rappresenta spesso la situazione dei nostri contemporanei? Cerchiamo di capirlo, con il racconto dei discepoli sulla via di Emmaus.
La narrazione di quei ricordi è fantastica, perché fa comprendere i vari stati d’animo del lutto che investe i discepoli e poi la loro gioia.
Dopo la morte di Gesù tutti i discepoli aspettano, sono tramortiti dalla crocifissione del loro maestro, aspettano senza sapere bene cosa, poi dopo tre giorni arrivano delle donne a dire che il Cristo è risorto, ma due di loro se ne partono comunque per tornare a casa verso Emmaus. Non solo sono tristi e scoraggiati, ma sono rassegnati, si sono arresi alla morte. Come il nostro mondo, come i nostri contemporanei. Così loro due, come anche gli altri discepoli, non capiscono niente, quello che dicono loro le donne è per loro un vaneggiare, mentre in realtà sono loro che stanno vaneggiando.
La realtà della morte gli appare così definitiva che niente li smuove. Nemmeno quando un viandante, che è Gesù risorto stesso, gli si affianca e gli dice punto dopo punto ciò che annunciava la Scrittura sulla sua morte e sulla sua resurrezione.
Anche oggi quella Scrittura è qui! Con in più i racconti dei testimoni oculari del Risorto che vengono riportati nel Nuovo Testamento, di cui il racconto dei discepoli sulla via di Emmaus fa parte.
E non solo: tante cristiane e cristiani annunciano oggi la resurrezione, sanno e dicono, anche con il loro vivere, che Gesù Cristo è il Signore vivente, ma le persone sono avvilite, rassegnate e senza speranza dinnanzi alle difficoltà e ai dolori, da non capire. Se ne ritornano dal funerale, non solo tristi, come è giusto, ma anche disperati. Sono travolte dalle difficoltà e dalle ansie e si chiedono dove sia Dio, o forse non se lo chiedono più, ma invece il Cristo è qui che parla con noi, che si prende cura di ognuno di noi.
I due discepoli sulla via di Emmaus, non credono alle donne, non capiscono cosa dica loro il viandante Gesù, eppure qualcosa si scalda in cuor loro per le sue parole, come penso avvenga anche oggi più spesso che si pensi. E così quando lui fa per proseguire e scomparire nella notte lo invitano nella locanda a cenare con loro.
E lì Gesù spezza il pane, fa il gesto dell’ultima cena, che parla della sua morte per noi e della sua resurrezione per donarci vita eterna. È come lo hanno conosciuto, familiare, vicino alla loro condizione. Allora, lo riconoscono! È un attimo, ma basta a trasformarli da depressi della vita, in ardimentosi annunciatori, da sconfitti, in coloro che tornano sui loro passi, per riunirsi agli apostoli che con gioia dicono: Gesù Cristo è veramente risorto.
Spesso i nostri contemporanei sembrano come l’oste della locanda, nel dipinto di Caravaggio, che non capisce niente. Che sta lì dinnanzi ai cristiani giubilanti e pensa che la cosa non lo riguardi, che non gli venga in fondo nulla di buono dai quei straccioni che gioiscono di pane e vino. Non vede, in questo mondo che sembra sempre uguale a sé stesso, che Gesù pur uomo era anche il Cristo, il Figlio di Dio che in mezzo a questo mondo è all’opera meravigliosamente…
Lasciamoci dietro la rassegnazione che ci vela gli occhi, abbandoniamo il conformismo e prendiamo il coraggio di guardare con gioia al Risorto e l’intera nostra esistenza ne sarà trasformata.