Grazia e conversione

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Il libro di Giona, è un testo satirico. Ma quando la satira è vera satira, è anche un genere che svela realtà profonde dei personaggi umani. Spesso nei testi biblici noi vogliamo sapere subito quale sia il messaggio che ci viene rivolto, indipendentemente dalla forma con cui ci giunge, per riflettervi sopra. Non dobbiamo dimenticare però che il messaggio è fatto di parole umane, il significato si può tentare di riassumere, ma un concetto viaggia comunque con parole e con genere preciso, come in Giona che è una storia satirica. E vogliamo ringraziare il Signore anche per questo raggiungerci con la sua Parola in maniera lieve, ma profonda.

(Versione audio)

Giona è il profeta che si rifiuta di annunciare, si rifiuta di essere profeta. Appena la Parola del Signore gli viene rivolta fugge via, tutto dall’altra parte rispetto a dove doveva andare. E dopo alcune vicende, è costretto a fare il suo annuncio verso la “mitica” città di Ninive e si scoprirà il motivo profondo del suo rifiuto ad annunciare il messaggio di Dio. Dicono mitica perché a quei tempi Ninive era probabilmente distrutta, ma era la gran città degli Assiri, l’emblema dei nemici storici di Israele, quelli che avevano spazzato via il Regno del Nord. Ecco dunque il nostro testo di oggi.

La parola del SIGNORE fu rivolta a Giona, per la seconda volta, in questi termini: «Àlzati, va’ a Ninive, la gran città, e proclama loro quello che io ti comando». Giona partì e andò a Ninive, come il SIGNORE aveva ordinato. Ninive era una città grande davanti a Dio; ci volevano tre giorni di cammino per attraversarla. Giona cominciò a inoltrarsi nella città per una giornata di cammino e proclamava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta!»

I Niniviti credettero a Dio, proclamarono un digiuno e si vestirono di sacchi, tutti, dal più grande al più piccolo. E poiché la notizia era giunta al re di Ninive, questi si alzò dal trono, si tolse il mantello di dosso, si coprì di sacco e si mise seduto sulla cenere. Poi, per decreto del re e dei suoi grandi, fu reso noto in Ninive un ordine di questo tipo: «Uomini e animali, armenti e greggi, non assaggino nulla; non vadano al pascolo e non bevano acqua. Uomini e animali si coprano di sacco e gridino a Dio con forza; ognuno si converta dalla sua malvagità e dalla violenza compiuta dalle sue mani. Forse Dio si ricrederà, si pentirà e spegnerà la sua ira ardente, così che noi non periamo».

Dio vide ciò che facevano, vide che si convertivano dalla loro malvagità e si pentì del male che aveva minacciato di far loro; e non lo fece.

Giona ne provò gran dispiacere e ne fu irritato. Allora pregò e disse: «O SIGNORE, non era forse questo che io dicevo, mentre ero ancora nel mio paese? Perciò mi affrettai a fuggire a Tarsis. Sapevo infatti che tu sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all’ira e di gran bontà e che ti penti del male minacciato. Perciò, SIGNORE, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me è meglio morire piuttosto che vivere».

Giona 3:1-4:3

La seconda volta Dio con estrema pazienza rivolge la Parola a Giona. Quel rivolgere la Parola è il termine tecnico usato in altri passi per indicare l’incarico profetico. Ebbene, Dio deve ripeterlo per la seconda volta e Giona, che avendo sperimentato di non poter fuggire all’ordine del Signore, parte a malincuore per Ninive e inizia il suo annuncio di imminente distruzione.

Ciò vale forse per tutti i credenti. Alle volte siamo incerti e indaffarati e non ci accorgiamo neanche della chiamata specifica, dell’incarico del Signore. Ma il Signore ci chiama anche una seconda volta per annunciare la sua Parola o per fare in suo volere nel mondo.
L’annuncio di Giona non è un messaggio molto articolato, non proclama un ultimatum che si chiede di rispettare, non chiama al ravvedimento o alla preghiera, ma a quei pagani nemici di Israele annuncia che la loro città sarà distrutta dopo 40 giorni, e basta. 40 giorni come in tanti episodi biblici, il tempo del diluvio, quello per ricevere le leggi sul Sinai e via dicendo. Un tempo biblico usato per dei pagani, che –forse immagina Giona– non capiranno neanche bene il suo annuncio.

Invece no. Quando Giona ha fatto solo un terzo di strada, e quindi si potrebbe dire neanche a raggiunto un terzo dei cittadini di Ninive, quando è passato solo il primo giorno dei quaranta, ecco che quelli si convertono. Mentre di Gerusalemme si dice che non ha accolto i vari profeti mandategli, qui Ninive accoglie il messaggio di Giona con estrema serietà e immediatezza.

Si noti che là dove c’è “distrutta” letteralmente in ebraico ha valore di “rovesciata” ed in effetti loro “rovesciano” la loro vita, si convertono. Non fanno domande e si convertono dalla loro malvagità, cioè non solo fanno segni esteriori di lutto e di penitenza (si noti che quel “non assaggino” si potrebbe tradurre anche in “non gustino”), ma il Re stesso ordina un pentimento, una conversione interiore. E ciò, da come leggiamo, fanno.

Anche per le persone più malvagie e per una società iniqua, come i niniviti, c’è possibilità che si pentano e cambino vita. Dobbiamo riflettervi per quando parliamo di fede a qualcun’altro. E dobbiamo considerare anche che se per qualche motivo finiamo in una vita vana, lontana dal Signore, possiamo sempre convertirci e cambiare il nostro stato.
In questo proclama del re, come nel Salmo iniziale, ci sono compresi anche gli animali che (come anche nel diluvio o nella lettera ai Romani) sono associati alla distruzione a causa della malvagità umana. In fondo il nostro destino è strettamente e sempre correlato a quello del nostro mondo e di tutte le altre creature. Le nostre preghiere non dovrebbero essere solo per noi e non solo per gli umani, ma per il Creato intero.
Ora il re è pagano: quale Dio invocherà? In realtà non invoca il Signore. Dice solamente e profondamente: “forse Dio si ricrederà”. Pensa forse al Dio di Giona, dunque al Signore, forse ad un Dio generico, ma è importante che dica: “forse”. Con quel forse, si sta affidando alla misericordia di Dio, perché il perdono non è automatico. Fa parte di un “dialogo” con il Signore, da persona a persona, ma non implica per il Signore la necessità di perdonare. Ma il Signore è “misericordioso, pietoso, lento all’ira e di gran bontà” (come dirà Giona) e dunque cambia idea, si pente del male che voleva fare, dice addirittura il nostro testo. Tiene conto della loro reazione e della loro preghiera sia pure implicita.

Di ciò a volte ci si dimentica, di andare in preghiera al Signore così come siamo, senza false scuse, con estrema sincerità rispetto agli errori della nostra vita. E ci fa riflettere anche che chi non conosce il Signore alle volte vi si rivolge sia pure senza conoscerlo esattamente.
Giona però, che conosce la misericordia del Signore, che nella sua dichiarazione snocciola una specie di “catechismo” sul Signore clemente e pietoso, non ne vuole trarre conseguenze. Essere stato implicato con la sua predicazione della salvezza dei nemici, gli fa desiderare la morte. Chi si converte in questo libro di Giona sono i niniviti e non Giona stesso, profeta suo malgrado. E la conversione riguarda o dovrebbe riguardare tutti e sempre.

Questo testo è satirico, è una presa in giro, arguta e leggera, di tutti coloro che hanno una certa idea di Dio e vogliono che Dio vi si conformi. Già perché conversione non è solo da pagano a credente in Dio, ma nel vero Dio, in Gesù Cristo, non in una mia concezione di Dio.

Il voler morire di Giona, sembra un atteggiamento del tutto esagerato, impossibile, certo per far satira si portano all’estremo certi comportamenti…Eppure quante persone credenti, quando li senti parlare sembrano così feroci, come Giona che vuole la distruzione della gran città, e mal sopportano la misericordia di Dio?
Siamo pure noi come Giona? Direi proprio di no. Eppure l’atteggiamento di Giona è una predisposizione degli umani e quindi dobbiamo riflettervi.

Come chiese evangeliche riformate abbiamo una pluralità di interpretazioni teologiche (per alcuni troppe, ma difficile dar limiti), di sensibilità, di idee sociali e politiche ampie. Eppure siamo insieme come chiesa. E siamo insieme pur nelle differenze, proprio perché confidiamo nella grazia di Dio e non in nostri presunti virtuosi comportamenti.

Ed insieme c’è la chiamata al ravvedimento da parte del Signore non come qualcosa di eccezionale, ma di quotidiano. È la possibilità ascoltando la Parola del Signore di fare della nostra vita e nella nostra vita qualcosa di vero, di nobile, di eterno, grazie all’intervento dello Spirito Santo. E le due cose vanno insieme: l’annuncio di grazia e il ripensare sempre sia la chiesa, sia la propria vita.

Tutto ciò il Signore ce lo ricorda anche con un testo leggero e satirico, come questo, per il quale gli rendiamo grazie, perché da qui traspare non un volto severo di Dio, ma un volto accogliente e paterno, per noi suoi figli spesso erranti, ma sempre da Lui amati. Amen


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