Credere e amare per grazia di Dio

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Nel capitolo 4 della I Giovanni si parla di due aspetti dell’intervento di Gesù Cristo come nostro Salvatore, cioè di Colui che con il suo sacrificio sulla croce ci dona salvezza per sua sola grazia, i due aspetti correlati, quasi due facce della stessa medaglia sono: il credere e l’amare. Credere, cioè avere fede, e amare il prossimo (un amore dunque che va oltre l’usuale amore umano) sono questi due aspetti. Leggo il testo della predicazione a brani, intervallato con una spiegazione per maggiore chiarezza.

(Versione audio)

I Giovanni 4:16-21 Noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.

Credere e amare

L’inizio di questo passo riassume ciò che l’apostolo ha scritto in precedenza. Dice che noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi. Lo abbiamo conosciuto, in quanto abbiamo conosciuto che Gesù Cristo si è sacrificato per amor nostro, per riscattarci dall’errore. In quello è l’amore di Dio che ci ha amati per primo.

E aggiunge anche “e vi abbiamo creduto“. Cioè, non è solo una questione di sentire una notizia, e nemmeno di studiarla nelle sue implicazioni teologiche (come alcuni studiosi fanno, anche se magari atei), ma di dare fiducia a questa notizia, di credervi con il proprio vissuto oltre che con la propria mente e farne una ragione di vita.

Credere nell’amore di Dio per noi ha due conseguenze sul nostro amare: l’amare Dio e l’amare il nostro prossimo. E l’apostolo spiega come intendere questo amore, partendo dal dire che “Dio è amore”, dunque una caratteristica di Dio, da cui imparare cosa sia l’amore e qualcosa di fondamentale di Dio stesso.

Prima di leggere il seguito bisogna intendersi sul perché scrive l’apostolo: non fa solo delle esortazioni, quelle che ci propone, sono come due prove, un invito a mettersi alla prova, a vedere se siamo su quella strada, a ragionare in termini biblici e non a sragionare secondo l’egoismo o le filosofie del mondo.

Niente paura

In questo l’amore è reso perfetto in noi: che nel giorno del giudizio abbiamo fiducia, perché quale egli è, tali siamo anche noi in questo mondo. Nell’amore non c’è paura; anzi, l’amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi chi ha paura non è perfetto nell’amore. Noi [lo] amiamo perché egli ci ha amati per primo.

Dato che il credere è relativo a sapere che abbiamo ricevuto grazia, non abbiamo –o non dovremmo avere– quindi paure verso Dio, Colui che ci ama e non avere paura del giudizio di Dio. È chiaro che quando si pensa che dopo morti saremo al cospetto dell’Iddio vivente, che non ammette colpa, peccato, errore…se lo si vede come giudice inflessibile, quella paura sarebbe ben giustificata. Ma avendo conosciuto la grazia di Dio, noi non temiamo il giudizio del Signore! Non perché siamo perfetti, ma perché siamo giustificati dal nostro Signore. Ecco allora che non si può aver paura del giudizio, se si crede, se ci si affida a Gesù Cristo come Salvatore ed è per questo che lo si ama con gratitudine.

La paura della morte, infatti, non è solo la tristezza di lasciare la vita, quando magari si è pieni di forze e speranze, non è solo la paura del dolore del trapasso, ma dai tempi più remoti è la paura del giudizio, di un dopo-morte che porti una pena, una condanna. Quest’idea dovrebbe finire con la fede cristiana.

Dico “dovrebbe” perché è vero che il giudizio e la paura dell’oltretomba ci sono da sempre nell’umanità, ad esempio negli etruschi, a Babilonia, o per i greci pagani e così via. Ma purtroppo è vero che quella paura è stata anche coltivata nella chiesa medioevale –e non solo– offuscando il ruolo salvifico assoluto di Gesù Cristo, a vantaggio di un presunto ruolo salvifico della chiesa…

Mi potreste anche obbiettare: “chi ha paura oggi del giudizio dopo la morte? Anzi, chi per ciò che di malvagio compie ha in fondo paura di Dio?

Certamente, vedendo certe notizie di cronaca di crimini efferati, assistendo ad ingiustizie che si vogliono travestire da verità, sentendo superficialità nei discorsi che si ascoltano in giro, cinismo in tante considerazioni…si può affermare che non c’è timor di Dio nel nostro tempo. Ed in effetti il timor di Dio è l’inizio della saggezza.

Però, non sono così sicuro che sia per tutti, sempre così. Ci sono casi eclatanti, certo, e le persone in genere non vogliono pensare a certe cose, ma quando si esamina la propria vita, si considera ciò che si è fatto e ciò che non si è fatto di buono, c’è un giudizio, forse nascosto nel profondo della coscienza. E questo giudizio interiore dice: “colpevole”.

Chi ci salverà, allora, quando il tempo per rimediare sarà ormai finito, chi ci darà il senso della vita, se quel senso lo abbiamo disperso, chi potrà dirsi realmente soddisfatto del lavoro, degli amori, di cose giuste fatte, del tempo passato, che magari invece è stato spesso sprecato?

Ecco noi abbiamo un annuncio rigenerante che ci viene dal Salvatore: ci ha amati e ci ha riscattati una volta per sempre, non abbiamo paura dunque dell’Iddio vivente e non abbiamo paura dei nostri fallimenti, ma crediamo con piena fiducia in Lui, e avremo salvezza, e fascerà le nostre piaghe e la nostra tristezza esistenziale e ci darà un nuovo inizio.

Amare chi vedi

È tutto qui il messaggio apostolico? No, una volta vinta la paura con la fede in Dio, una volta che amo Dio, perché mi ha amato per primo, una volta che finalmente sono al sicuro, non mi posso cullare in una sterile vita.

Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello.

Dal credere in Dio segue anche, dopo il superamento della paura di morire o di vivere, che non possiamo odiare, senza perdere la presenza di Dio. E dunque l’amore per il prossimo è il comandamento che abbiamo ricevuto e riceviamo ancora.

Notate come qui ci si opponga a chi dice di amare Dio, e magari se ne vanta, ma poi non ne trae la conseguenza amando il prossimo, il fratello. (Fratello non solo nel senso di fratello di chiesa, ma del prossimo visto come un fratello, una persona famigliare, sullo stesso piano.) Ebbene l’apostolo dice che se dico di amare Dio, che non ho visto, e non amo chi vedo e incontro, in realtà sono bugiardo. Perché si amerebbe in tal caso un principio astratto, non una persona che ci ha salvati con la sua morte in croce. Invece amando il fratello si ama concretamente, perché concreto è l’amore. Vedete che questo ci permette di vivere cristianamente in modo consapevole, di confrontare il nostro quotidiano col volere divino.

Questo fa anche parte della salvezza. Non è che la grazia di Dio ci assicura un lasciapassare per l’eternità e basta, no: ci dà la possibilità di amare concretamente, di risolvere le ingiustizie –che magari abbiamo creato– intervenendo nel concreto, chiedendo scusa, costruendo ponti per il dialogo, e ritrovando il senso della vita, che alle volte sembra perdiamo.

Amando il nostro prossimo e costruendo un futuro insieme possiamo vivere veramente. Sì, perché vivere veramente –dal punto di vista cristiano– è amare. Amen


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