Cercate il bene della città

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Dopo la disfatta del Regno di Giuda, molti degli ebrei furono trasportati in esilio a Babilonia. Erano le persone più influenti e quelle più valide, mentre a Gerusalemme rimanevano gli anziani, come il profeta Geremia.

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Alcune comunicazioni fra i due gruppi erano ancora possibili, e Geremia manda per incarico del Signore una lettera agli esiliati di Babilonia. (Ne leggo anche l’inizio “burocratico” per mostrare come è storicamente situata).

Queste sono le parole della lettera che il profeta Geremia mandò da Gerusalemme al residuo degli anziani esiliati, ai sacerdoti, ai profeti e a tutto il popolo che Nabucodonosor aveva deportato da Gerusalemme a Babilonia, dopo che il re Ieconia, la regina, gli eunuchi, i prìncipi di Giuda e di Gerusalemme, i falegnami e i fabbri furono usciti da Gerusalemme. La lettera fu portata per mano di Elasa, figlio di Safan, e di Ghemaria, figlio di Chilchia, che Sedechia, re di Giuda, mandava a Babilonia da Nabucodonosor, re di Babilonia. Essa diceva: “Così parla il SIGNORE degli eserciti, Dio d’Israele, a tutti i deportati che io ho fatto condurre da Gerusalemme a Babilonia: «Costruite case e abitatele; piantate giardini e mangiatene il frutto; prendete mogli e generate figli e figlie; prendete mogli per i vostri figli, date marito alle vostre figlie perché facciano figli e figlie; moltiplicate là dove siete, e non diminuite. Cercate il bene della città dove io vi ho fatti deportare, e pregate il SIGNORE per essa; poiché dal bene di questa dipende il vostro bene»”.

Geremia 29:1-7

Esiliati di fronte a un bivio

La situazione di deportazione degli ebrei in Babilonia rendeva evidente il bisogno di una scelta. Si poteva non vivere veramente, ma aspettare solo il momento di fuggir via oppure vivere pienamente, integrandosi –bene o male– con la società circostante.

Dunque, si poteva pensare di scegliere di vivere in contrasto con la città, che anche se come deportati comunque li ospitava, contrastarla, sabotarla oppure metter su famiglia e lavorarci.

Alcuni profeti affermavano che presto sarebbe giunta la liberazione e che quindi non dovevano mischiarsi affatto con quelli della città di Babilonia. Geremia però sapeva che la liberazione era lontana e quindi il profeta riportava questa parola del Signore: cercate il bene della città dove siete, perché dal bene di questa dipende il vostro bene.

Anzi, dice più precisamente il testo non nella città dove siete, ma in cui vi ho fatto deportare. Infatti, la sconfitta di Gerusalemme era stata annunciata dai profeti, come giudizio dell’iniquità compiute, e dunque qui si ricorda che è per volontà di Dio che ora vivono in esilio.

Qui però non c’è più annuncio di giudizio, ma un annuncio di benedizione, il fatto –pur esiliati– di poter vivere e avere casa, è una benedizione che il Signore concede affinché il suo popolo non scompaia, non sia distrutto.

Andando oltre la situazione specifica di questo testo, gli ebrei di tutte le epoche, vivendo in terre lontane da Gerusalemme, hanno sempre fatto propria questa parola di Geremia per continuare a vivere e contribuire al benessere delle società in cui si trovavano o si trovano tutt’ora. E non si sono diluiti o fatti assorbire dalla società intorno, ma ne hanno pienamente fatto parte.

E noi?

Oggi la Festa Federale di preghiera invita a pregare fra l’altro per la nostra nazione (o comunque per la nazione che ci ospita se non siamo svizzeri). In questo senso: per noi che non siamo degli esiliati, per noi che non siamo dei deportati, che viviamo in quella che è la nostra città e la nostra società: non dovrebbe valere forse ancora di più questo imperativo?

Eppure, alcuni la pensano diversamente.

C’è chi pensa in maniera del tutto egoistica: “la sola cosa che conti è il meglio per me, non mi importa del bene della collettività”. In questo senso alcuni pensano addirittura che sfruttare la terra (ricordiamo che siamo anche nel Tempo del Creato) o il prossimo sia non solo la via del successo, ma quella della felicità. Coloro ragionano come se il nostro bene non dipendesse dal bene della società nel suo complesso, che permette di fare affari o di avere tanti servizi. E al fondo si illudono che si viva realmente meglio essendo egoisti.

Per altri non è questione solo di egoismo, ma di una specie di disperazione, infatti pensano in cuor loro: “prima o poi me ne andrò da questo mondo, per cosa mi affatico?” Come se tutto fosse vano, come se tutto fosse senza importanza ed infatti non gl’importa degli altri o di chi verrà dopo su questa terra, della giustizia o del bene.

C’è però anche una versione cristiana, pia, del non lavorare per il bene della società: alcuni frati del passato pensavano: “in fondo siamo pellegrini su questa terra, in fondo il Signor Gesù era povero, meglio vivere di elemosina, che mischiarsi con la città in cui c’è sempre il rischio del peccato, della cupidigia, dell’errore”.

E questo non è solo di antichi frati, ma anche di chiese e comunità evangeliche che vogliono vivere in una cultura separata, lontana…

Cercate il bene della città

È chiaro a tutti che mescolandosi alla città si rischia sempre di sbagliare, e ci si sporca sempre le mani, ma ne va dell’amore per il prossimo.

Ovviamente Geremia non diceva di mescolarsi alla città di Babilonia, divenendo degli idolatri, adoratori degli dei di quel posto, e nemmeno criminali e truffatori, ma il cercare il bene, non era affatto inteso egoisticamente, è un contribuire al bene comune di tutti. E nel tentare il bene si rischia l’errore.

I doni del Signore sono doni per costruire, per piantare, per metter su famiglia, per prosperare e per vivere con serenità e gioia… per mettere a frutto con responsabilità, verso gli altri, ciò che si ha.

L’etica protestante (di un tempo) considerava che mettere su un’azienda fosse qualcosa di positivo perché dava lavoro ad altri e contribuiva al benessere sociale. L’obiettivo non era fare affari per approfittarsi del prossimo, ma per render onore a Dio, e per creare con il lavoro occasioni di benessere per sé e per altri, per migliorare la società nel suo complesso.

Come cristiani certamente sappiamo di essere pellegrini su questa terra! Cittadine e cittadini della città celeste, della nuova Gerusalemme e non della vecchia Babilonia, eppure siamo coloro che vivono nel cercare il proprio bene e il bene della società in cui vivono.

E in questa società ci sono tutti, non è infatti una società cristiana o di tutti cristiani. Ma c’è da lavorare per il bene della società in cui siamo e questo lavoro porta certamente anche dei buoni frutti per noi, per i nostri cari e per le nostre famiglie, ma anche a favore di tutti e tutti considerando che ognuno è degno della provvidenza di Dio.

E non solo: si deve pregare per la città come dice Geremia, come anche per le autorità, come ricorda la I Timoteo, perché le cose vadano meglio, anche se la città è quella del nemico, come erano i babilonesi, anche se il re è l’imperatore pagano.

Beni e bene

Il bene, in questo passo dell’Antico Testamento, è molto materiale, come è anche ovvio che sia in quella situazione del popolo di Israele, ma come scrive Paolo, come cristiani noi siamo ambasciatori della riconciliazione con Dio, annunciatori della grazia, l’impegno cristiano quindi è ampio, materiale, ma anche per la spiritualità del nostro prossimo.

L’annuncio cristiano è annuncio a tutto il popolo. Non pretendendo che questo popolo sia tutto cristiano, ma sapendo che la parola di grazia di Gesù Cristo è per tutti e dunque va rivolta a tutti.

L’annuncio della grazia che si ha in Gesù Cristo, l’annuncio di salvezza e di resurrezione, è il dono per far vivere meglio e prosperare la società e le singole persone.

E non dimentichiamo che, anche se le persone non  credono o non credono fino in fondo, l’annuncio che noi crediamo ci sia un vero Salvatore fa bene al nostro prossimo. Annunciando e vivendo dell’annuncio di Gesù Cristo, cercando il bene materiale e spirituale della società e dell’umanità, portiamo speranza e illuminiamo le coscienze. Amen


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