Il Patto federale dei primi di agosto del 1291 fu uno dei vari patti che si stringevano fra popolazioni vicine, e fu seguito da altri che ribadirono ed ampliarono gli accordi, per i quali infine si costituì la Confederazione elvetica. Anche esso, ad esempio, è la riproposizione di un patto più antico di cui si è persa la traccia, per cui si può dire che una certa idea di Svizzera sia nata anche prima e poi si sia evoluta col tempo. Dunque, quel documento è il più antico e quella data è stata scelta come inizio della Confederazione, per ricordare l’idea di patria.
Su quel documento vorrei fare quattro brevi osservazioni:
1) Nel patto c’è l’impegno di un reciproco aiuto e a proprie spese.
La questione del tempo era che da fuori, da parte degli Asburgo, i re austriaci, c’era la volontà di tenere soggette le popolazioni di Uri, Svitto e Untervaldo, come anche quelle circostanti. Quei primi cantoni che fanno il patto cercano dunque di mantenere la propria autonomia nel gestire la propria società. L’idea cioè è che il nostro Cantone è qualcosa di nostro, e non concesso in usufrutto da un re lontano, e che insieme c’è anche una comune responsabilità. Non solo è cosa mia, la mia casa, ma c’è una responsabilità comune perché da soli non si può reggere la malizia dei tempi. Un’idea alla base del patto, che non è dunque strettamente individualistica. Anche per questo la Confederazione si è poi estesa ad altre popolazioni.
2) Come spesso nei patti, ciò che sta a cuore oltre le minacce esterne, è come si regolano le questioni interne, è il tema della giustizia, perché nella giustizia è la salvaguardia della coesistenza pacifica. La prima questione che sottolineano è quella di avere giudici interni e non esterni, non mandati dal re, questo sarebbe infatti una perdita di autonomia notevole. Poi ci sono le indicazioni dei reati da perseguire, come l’omicidio o il furto, ma c’è ad esempio anche l’incendio doloso, sanzionato con la perdita della cittadinanza.
3) Si fa un giuramento, infatti il documento inizia nel nome di Dio: In nomine Domini, Amen. La società medioevale era una società di giuramenti. I rapporti fra persone e fra Stati erano regolati da giuramenti. Cioè c’era un accordo solenne, sancito dinnanzi a Dio. La questione dunque della propria fedeltà agli accordi era rimessa a Dio. Non era solo una questione fra persone. Chiaramente in una società come la nostra pluralista in fatto di fedi e non, il richiamo è inattuale in questa forma. Però che oltre le carte burocratiche, che oltre i contratti e le leggi la questione delle nostre vicende e comportamenti sia da rimettersi al Signore, è di grande e profondo significato. Una visione che c’è qualcuno al di sopra di tutti, cui si deve rispetto e da cui viene il rispetto di leggi e di accordi, è uno dei motivi per un agire morale.
4) Infine, il patto è un patto eterno, perpetuo. Chi oggi farebbe un tale accordo? Per sempre!? Non solo come un matrimonio, finché morte non vi separi (anche se poi c’è l’istituto del divorzio), ma quel per sempre vale anche per le generazioni che vengono. Ecco perché si può pensare valido quel documento anche per i confederati di oggi. Quelli che allora avevano sottoscritto il documento dicevano: ciò che di positivo facciamo oggi ha valore per i nostri discendenti. Qui non si pensa a piccole cose, ma si pensa in grande. Come è giusto che sia. Perché se non si pensa a qualcosa che valga nel futuro, vuol dire che non vale nemmeno oggi.
E concludo: giurare qualcosa per l’eternità è qualcosa di importante, però non sarebbe possibile mantenere una qualsiasi promessa senza l’aiuto di Dio, e dunque in ogni celebrazione, come in ogni anniversario, va ringraziato il nostro Signore. Solo a Lui sia gloria.
(Traccia discorso per il 1° agosto 2018 all’Ospedale Flin)