Solus Christus e Sola Scriptura

Ordine nei 5 solo

Da un punto di vista didattico, catechetico, possiamo dire più precisamente, le caratteristiche della teologia evangelica, sono state espresse dai cinque sola.

Ora se da un punto di vista didattico possiamo iniziare con il Sola Scriptura, quasi fosse una specie di postulato iniziale da cui derivare gli altri quattro, in realtà da un punto di vista teologico il primo articolo non può che essere il Solus Christus.

Infatti come cristiani leggiamo la Scrittura perché parla del Cristo, perché lì vado a cercare ciò che è testimonianza a lui vicina e quindi non ricoperto di idee posteriori. Anzi il Nuovo Testamento è stato così definito (si veda il processo della formazione del canone) proprio partendo dalla testimonianza che dava al Signore Gesù Cristo.

Inoltre leggiamo la Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) partendo dal Cristo. Egli ne è il criterio. Dunque ne è criterio antecedente e non subordinato alla Scrittura. “Credo a quanto è scritto perché credo in Gesù Cristo” e non viceversa. Anche l’affermazione di una Scrittura come Parola di Dio, ha senso solo se si interpreta come riflesso della Parola di Dio fatta carne in Gesù Cristo. Come parola ispirata dallo Spirito, ma la questione della dettatura e della preservazione nella storia sembrano appartenere a dogmi di fede, aggiuntivi rispetto alla stessa Scrittura.

Il Sola Scriptura nei Riformatori

Il libretto “La battaglia delle vocali” di Emidio Campi (EDB 2013) è molto interessante perché va a vedere come sia nel periodo dell’ortodossia riformata che nasce quello che nei movimenti evangelici moderni è divenuta la formula dogmatica della Bibbia inerrante. (Ne utilizzerò varie citazioni.)

A mo’ di sintesi e di documentazione ecco alcuni estratti dall’opera. Si parte ovviamente dai Riformatori e dal principio del Sola Scriptura, che non era ignoto nel Medioevo, ma che era evidentemente utilizzato in maniera differente da quando faranno gli evangelici.

Insomma, detto molto semplicemente, la formula sola scriptura significava che il magistero non è al di sopra della Scrittura, ma al suo servizio e che ogni conoscenza di Dio è da Dio per mezzo della Scrittura, che apre il cuore e la mente all’esercizio della libertà cristiana.

Naturalmente, questo non vuol dire che i riformatori abbiano pensato di fare della Scrittura una sorta di codice coranico. Lutero aveva una concezione dialettica del sola scriptura. Egli poteva affermare che la «sacra Scrittura è Dio stesso» e che essa contiene la parola di Dio. Ma poteva anche distinguere l’uno dall’altra. Celebre, a questo proposito, è la frase contenuta nella sua diatriba contro Erasmo sul servo arbitrio: «Dio e la Scrittura di Dio sono due cose distinte, proprio come sono due cose distinte il Creatore e la creatura».

Anche in Zwingli che si occupa con un suo scritto esplicitamente dell’ispirazione della Scrittura abbiamo la stessa impostazione.

La concezione della Scrittura di Zwingli collima sostanzialmente con quella di Lutero. Tuttavia egli, anziché dal chiostro come il riformatore tedesco, veniva dagli ambienti erasmiani, da cui attinse l’approccio filologico che giovò moltissimo al suo lavoro esegetico. Da Erasmo, per esempio, egli mutuò l’idea che l’autorità dei concili, dei padri della Chiesa e dei papi debba essere subordinata a quella della Scrittura.

Calvino nell’Istituzione sottolinea l’importanza dello Spirito per comprendere la Scrittura.

La parola ci è definitivamente garantita solo se è approvata dalla testimonianza dello Spirito.

Il Concilio di Trento ribadirà invece la supremazia della chiesa cattolica per l’interpretazione:

«Inoltre, per frenare certi spiriti indocili, stabilisce che nessuno, fidandosi del proprio giudizio, nelle materie di fede e di costumi, che fanno parte del corpo della dottrina cristiana, deve osare distorcere la Sacra Scrittura secondo il proprio modo di pensare, contrariamente al senso che ha dato e dà la Santa Madre Chiesa, alla quale compete giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle Sacre Scritture; né deve andare contro l’unanime consenso dei padri, anche se questo genere di interpretazioni non dovesse mai essere pubblicato. I trasgressori saranno denunciati dagli ordinari e puniti come stabilisce il diritto»

Dopo la prima e la seconda generazione di Riformatori c’è il tempo dell’ortodossia, del serrare i ranghi teologici e organizzativi.

Qualcosa di importante è notare l’influsso rinnovato della filosofia aristotelica.

Chi cerchi d’intendere la natura dell’ortodossia protestante è inevitabilmente condotto a constatare un fenomeno davvero paradossale: la reintroduzione della filosofia aristotelica nella teologia protestante. I riformatori della prima generazione, com’è noto, avevano inferto un rude colpo all’aristotelismo. Eppure – così grande è il fascino della logica – il tentativo fu rifatto dalla seconda metà del Cinquecento.

Ciò ha un influsso sulla concezione della Scrittura:

La Scrittura venne a essere considerata infallibile e ispirata da Dio, perfino nell’apparato di vocalizzazione del testo ebraico. Naturalmente anche i riformatori, come si è visto, avevano fermamente sostenuto l’ispirazione della Scrittura, ma avevano distinto tra le parole della Scrittura e la parola di Dio. Solo quando lo Spirito Santo illumina il testo la parola scritta diventa parola di Dio. Per i loro successori, viceversa, si produsse un’identificazione dell’una con l’altra: sacra scriptura est verbum Dei.

Una delle più celebri confessioni di fede riformate, la Confessione elvetica posteriore (1566), redatta da Bullinger, il successore di Zwingli a Zurigo, si apre con l’affermazione: «le scritture canoniche dei santi profeti e apostoli e di entrambi i testamenti sono la vera parola di Dio».

Ciò assicura a Bullinger un posto particolare nel panorama del protestantesimo cinquecentesco. Sebbene biograficamente e teologicamente egli appartenga, come Calvino o Vermigli, alla seconda generazione dei riformatori, anziché a quella degli «ortodossi», si possono individuare in lui le prime avvisaglie di un lungo processo di fraintendimento della rivelazione divina che trasformava la Scrittura in un aristotelico «principio primo» da cui enucleare gli argomenti e i criteri probanti della teologia, una specie di codice sacro da cui fare scaturire le decisioni operative appropriate ed efficaci.

Come si esprime Campi:

sostituirono alla dialettica littera et spiritus l’assioma scriptura sacra est verbum Dei, per cui la Scrittura diventava un codice da consultare a ogni occasione

Infine sulla “Battaglia delle vocali” vera e propria in breve si afferma:

Nel 1624 [Louis Cappel] pubblicò un’opera dal titolo forse un po’ provocatorio per i suoi tempi, ma che esprime chiaramente il contenuto della ricerca e il suo valore scientifico: Arcanum punctuationis revelatum.66 In essa egli sosteneva ciò che qualunque modesto conoscitore dell’Antico Testamento oggi conosce e accetta serenamente, ovvero che il testo ebraico, prima di giungere alla forma in cui ci è pervenuto, era passato attraverso una serie di rifacimenti e che la sua vocalizzazione era tardiva, essendo avvenuta tra il V e il VI secolo d.C.

(…)

Più che riprendere le singole argomentazioni, è interessante osservare che in questa «battaglia delle vocali» sia Buxtorf che Cappel non ricorsero a un magistero ecclesiastico infallibile e superiore per dirimere la loro controversia, bensì riconoscevano come unica autorità normativa la parola di Dio, e laddove l’uno tendeva a fare della Scrittura una verità atemporale trascendente la storia e vedeva ogni dubbio espresso nei confronti del testo biblico come un sacrilegio, l’altro ne sottolineava la storicità nel convincimento che non v’è accesso alla rivelazione, alla parola di Dio, se non attraverso il groviglio dei documenti, passando attraverso l’umanità degli autori biblici.

(…)

Se all’alba del Settecento l’esegesi protestante poté avvalersi dei contributi di solidi biblisti avvezzi all’uso del metodo storico-critico fu perché era stata saldamente affermata la centralità della teologia intesa come riflessione critica fondata sulla Scrittura e libera da condizionamenti gerarchici.

Sviluppo

La Riforma o la fondazione della chiesa su base biblica, passa dal superamento di una “vulgata” che non legge più la Scrittura, ma vi ha sostituito delle narrazioni che sono delle parafrasi / concordanze del testo per cui si parla di Creazionismo senza rileggere (o rileggendoli con in mente il creazionismo stesso) i primi capitoli biblici in cui fra l’altro non c’è la creazione dal nulla, in cui chiaramente ci sono due racconti affiancati (con l’essere umano prima creato alla fine e dopo invece al principio)…

Una fondazione biblica, e non biblicista, da una parte ritrova il canone contro una lettura che esclude il testo presente a favore delle intenzioni e delle fasi storiche passate, respinge anche uno scientismo che esalta o al contrario ignora le dimensioni simboliche e profetiche, ma d’altra parte esclude la “vulgata” che si sostituisce al testo biblico (anche se a parole si vorrebbe al di sopra di tutto) e al suo libero esame sotto l’influsso dello Spirito.

Inoltre perché non considerare che anche le nozioni storiche e scientifiche odierne sono riflesso dell’azione dello Spirito e ci permettono, una volta esaminati i presupposti criticamente da un punto di vista di fede, di comprendere sempre meglio il messaggio del Cristo, e quindi anche la Scrittura stessa?