I salmi rappresentano in ogni tempo una delle parti della Bibbia più lette. Infatti con l’elaborazione poetica, spesso i salmi si staccano dalla realtà in cui sono stati composti e parlano di situazioni universali, in cui possiamo riconoscerci.

In questo modo i salmi divengono anche la nostra preghiera, ci fanno pensare e sperare, e alle volte danno parole alla nostra rabbia, senza per questo interrompere il dialogo con il nostro Creatore.

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Una playlist di video con commenti ad alcuni salmi.

Qui di seguito alcune analisi di salmi per comprenderli meglio.

Salmo 8

Il salmo 8 è un vero inno (non solo una richiesta di soccorso) che celebra la gloria di Dio. All’interno del Salterio il salmo spiega quale sia il Sovrano a cui tutte le preghiere sono rivolte e perché è importante la salvezza degli umani agli occhi del Signore. Riassunto in breve è perché hanno un compito.

È un inno di lode, che è diretto in seconda persona in tutti i suoi versetti direttamente al Signore (questo è un unicum). È basato sull’analogia del Signore come re, come il sommo re.

Salmo 8 1 Al direttore del coro. Sulla ghittea. Salmo di Davide. O DIO, Signore nostro, quant’è magnifico il tuo nome in tutta la terra! Tu hai posto la tua maestà nei cieli.

Piccole osservazione sulll’inizio: “Salmo di Davide”, cioè della raccolta regale o alla maniera di Davide. “Sulla ghittea” potrebbe essere un tipo di cetra di Gath o su una melodia di Gath oppure dotto differentemente con “sui torchi” sarebbe in occasione della vendemmia.

Signore nostro è un inno personale, ma a nome di tutta la comunità.

Questo inizio dice che è magnifico il nome di Dio, quindi della sua essenza, non dice che si vede la presenza di Dio nel mondo, ma che il mondo esprime la grandezza del suo Creatore. Infatti, la sua maestà è nei cieli (o sopra i cieli potrebbe essere tradotto). Cioè non si considera il mondo come divino, ma Egli ne è il Sovrano assoluto. Non c’è assolutamente un panteismo, anzi la Natura è demitizzata, come sempre nella Scrittura.

C’è dunque da capire chi sia il Signore. In questo senso –a mio avviso– va letto il versetto seguente.

2 Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto una forza, a causa dei tuoi nemici, per ridurre al silenzio l’avversario e il vendicatore.

Per alcuni è un’iperbole poetica, che dice che tutto il creato loda il sovrano cosmico. Ma quegli avversari e vendicatori sembrano proprio essere i negatori di Dio. (Salmo 14:1 Lo stolto ha detto in cuor suo: «Non c’è Dio».)

Qui inserirei allora una caratteristica della sapienza antica, diceva che (Salmo 111:10 Il timore del SIGNORE è il principio della sapienza) . Un tempo infatti era ovvia l’esistenza di Dio, in caso era quale Dio o quale erano le sue caratteristiche.

In fondo la domanda era come puoi realmente ragionare del mondo, se ne ignori il Creatore? È chiaro che nella scienza ottocentesca questo postulato fu abbandonato con disprezzo, indotto dalla superbia che un giorno si sarebbe spiegato tutto “meccanicamente”. Al giorno d’oggi è divenuto abitudine pensare che sia “irrazionale” ragionare partendo dall’esistenza del Creatore.

A quel tempo c’era invece l’idea che quelli che agivano come se non esistesse Dio venivano ridotti al silenzio considerando che il Signore è il Sovrano e dunque già solo un bambino che lo ricorda li dovrebbe far vergognare.

In effetti gli avversari sono coloro che sono contro Dio o contro i suoi comandamenti, e i vendicatori sono ribelli (infatti è anche possibile tradurre il termine con ribelli) oppure sarebbero coloro che rivendicano una loro autonomia e si attribuiscono il potere di vendetta, che spetterebbe invece solo a Dio.

Non sta qui comunque il centro del Salmo, ma questa grandiosa lode al Signore, porta ad una domanda che è centrale. In mezzo a questa Creazione l’umanità, così debole e contraddittoria, che ci sta a fare?

3 Quando io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, 4 che cos’è l’uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell’uomo perché te ne prenda cura?

Notate che qui ci sia anche questo “te ne prenda cura”, che assicura che non siamo stritolati dalla Natura, ma comunque si nota una cura da parte del Sovrano, per la sua Creazione. Infatti, è un Dio che ricorda ciò è fondamentale come lo è anche il ricordo delle grandi opere del Signore per la fede.

Dunque la domanda centrale è su chi sia l’essere umano e la risposta è:

5 Eppure tu lo hai fatto solo di poco inferiore a Dio e lo hai coronato di gloria e d’onore. 6 Tu lo hai fatto dominare sulle opere delle tue mani, hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi: 7 pecore e buoi tutti quanti e anche le bestie selvatiche della campagna; 8 gli uccelli del cielo e i pesci del mare, tutto quel che percorre i sentieri dei mari.

Dunque il Signore ha dato un compito all’umanità (si confronti Genesi 1), che è quello di un sottodominio su tutto il Creato. L’essere umano è dunque sottoposto al dominio di Dio, ma è un suo funzionario sulla terra, un amministratore che ha dominio (senza l’accezione negativa che spesso gli si attribuisce, ma invece con equità e senza oltrepassare i limiti) su ogni altra creatura e viene specificato anche su ogni forma animale, compresi gli animali selvatici.

Allora c’era la monarchia nella società, ma qui non è solo il re ad aver ricevuto questo incarico, il vero re è solo Dio, e tutta l’umanità ne riceve l’incarico. Si è tutti dei re, anche se il concetto di re davidico, dell’unto, del designato sembra essere in tensione con questa visione, che si risolverà però con Gesù Cristo.

L’essere umano dunque così fragile e insignificante riceve valore da questo compito datogli da Dio. È un altro modo per celebrare la grandezza del Signore. Ma è anche una visione di dignità dell’essere umano, di vocazione e di comprensione di chi sia l’umano. (Con Calvino: la vera conoscenza di sé per l’essere umano, proviene dalla conoscenza di Dio.)

A questo punto la conclusione riprende l’inizio, ma con un significato più vasto. Il tuo nome è magnifico non solo per la luna e le stelle, ma anche perché ci da dignità e la Creazione ha un senso (e non è il caos) e così l’umanità.

9 O DIO, Signore nostro, quant’è magnifico il tuo nome in tutta la terra!

La definizione di umanità che troviamo nel Salmo ha alcune implicazioni.

  • il governo del mondo si estende a tutti gli esseri umani, è assolutamente universale e non soggetto a limitazioni, ad esempio di religione o di etnia
  • il dominio è su tutte le creature, la specie umana ha un privilegio che bandisce quelle visioni moderne di stessi diritti con gli animali, cioè che la specie umana non sia da privilegiare.
  • ovviamente è implicata una responsabilità verso tutta la natura, gli errori e i peccati, non aboliscono questa responsabilità anzi la fanno risaltare con più integrità (non può essere riferito a testi come questo o alla Genesi l’accanimento contro la Natura, semmai a pensatori come Cartesio che vedono gli animali come macchine da sfruttare. Si consideri invece la macellazione quasi sacrale di Genesi 9:2-4).

La lettura cristiana

Per la visione cristiana, Gesù Cristo rappresenta la specie umana nella propria persona ascendendo dinnanzi al Signore. Dunque il salmo 8 venne presto interpretato come riferimento al Cristo. Proprio in Gesù Cristo Signore è adempiuto perfettamente questo salmo, perché è Lui quell’essere umano a cui ogni cosa è sottoposta e che ha il dominio sulla Creazione. Gli altri esseri umani sarebbero dunque associati a Lui che li rappresenta.

Se Gesù Cristo ha il dominio, gli esseri umani sono ancor più responsabilizzati e chiamati a questo compito vicario.

Vedendo il Salmo 8 in questo modo e considerandolo come inno notturno, per via del cielo stellato, viene posto in varie liturgie come salmo per la notte di Natale.

Salmo 11

1 Al direttore del coro. Di Davide. Io confido nel SIGNORE. Voi, come potete dire all’anima mia: «Fuggi al tuo monte come un uccello»? 2 Poiché, ecco, gli empi tendono l’arco, aggiustano le loro frecce sulla corda per tirarle nell’oscurità, contro i retti di cuore. 3 Quando le fondamenta sono rovinate, che cosa può fare il giusto? 4 Il SIGNORE è nel suo tempio santo; il SIGNORE ha il suo trono nei cieli; i suoi occhi vedono, le sue pupille scrutano i figli degli uomini. 5 Il SIGNORE scruta il giusto, ma detesta l’empio e colui che ama la violenza. 6 Egli farà piovere sull’empio carboni accesi; zolfo e vento infocato sarà il contenuto del loro calice. 7 Poiché il SIGNORE è giusto; egli ama la giustizia; gli uomini retti contempleranno il suo volto.

Il salmo è costituito da due parti: 1-3 Il trionfo dell’empio (mitigato dal versetto 1), 4-7 il trionfo del Giusto (cioè del Signore) e quindi dei giusti.

Quale situazione ci immaginiamo? Alcuni hanno immaginato una persona rifugiata nel tempio a cui gli inservienti dicono di scappare, non bastano più le mura del tempio a difendere chi chiede asilo, meglio la macchia, tutto è ormai rovinato, le fondamenta del creato stesse. Ma senza immaginare cose che non ci sono nel testo (meglio sempre riferirsi e predicare sul testo che su una ipotetica ricostruzione della situazione), possiamo dire che nella saggezza umana, l’empio trionfa, e quando tutto sembra ormai scosso fino alle fondamenta, non resta che scappare o adeguarsi: se tutti fanno così che può fare il giusto?

Come potete dire alla mia nefes di fuggire? Vale la pena di ricordare che l’anima mia, vuol dire il mio essere, la mia persona intera, tutto ciò che sono. Questa domanda appare allora forte: come potete dire a me stesso, che confido nel Signore, che quindi ricevo la mia caratteristica da questa mia fede, di fuggire? Sarebbe come dire di non essere più me stesso, di rinnegare, non solo il Signore, ma anche la mia stessa persona, non sarei più io, non vivrei più, sarebbe un suicidio della mia nefes, a fronte di una mera sopravvivenza.

Ma il salmista l’ha dichiarato fin dal principio: confido nel Signore. Non fuga, ma rifugio nel Signore. Certo il Signore sembra essere lontano nei cieli e rinchiuso nel suo tempio (è l’ateismo dell’epoca antica: Dio esiste, ma è lontano), ma invece egli guarda tutti, scruta anche i giusti, quasi a mantenerli nella retta via, più che a volerli castigare, ma odia l’empio e chi ama la violenza (non chi la usa come ultima risorsa…)

Il salmo vive di molti contrasti: Dio-giusti/ingiusti, luce/oscurità, silenzio/azione, fede/visione.

Il giudizio che vediamo è attuale o finale, escatologico? Entrambi? L’apocalisse usa l’immagine della coppa/calice.

Per i cristiani Cristo è la roccia, riprende questa immagine, però se siamo tutti peccatori come conciliare questa (di)visione fra giusti ed ingiusti così netta. Certamente noi superiamo questa visione così secca con il messaggio di Cristo, ma non dobbiamo dimenticare che il cristiano, pur nella coscienza del proprio peccato, deve alle volte schierarsi. Queste immagini così crude, vengono da situazioni crude, in cui qualcuno attenta la vita stessa di un altro, senza alcuna giustizia. La violenta richiesta dei salmi, e dovuta alla violenza degli attaccanti. Ricorda l’inizio di Se questo è un uomo. Anche in questo aspetto crudo sono preghiera?

Salmo 42

1 Al direttore del coro. Cantico dei figli di Core. Come la cerva desidera i corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. 2 L’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente; quando verrò e comparirò in presenza di Dio? 3 Le mie lacrime son diventate il mio cibo giorno e notte, mentre mi dicono continuamente: «Dov’è il tuo Dio?» 4 Ricordo con profonda commozione il tempo in cui camminavo con la folla verso la casa di Dio, tra i canti di gioia e di lode d’una moltitudine in festa. 5 Perché ti abbatti, anima mia? Perché ti agiti in me? Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora; egli è il mio salvatore e il mio Dio. 6 L’anima mia è abbattuta in me; perciò io ripenso a te dal paese del Giordano, dai monti dell’Ermon, dal monte Misar. 7 Un abisso chiama un altro abisso al fragore delle tue cascate; tutte le tue onde e i tuoi flutti son passati su di me. 8 Il SIGNORE, di giorno, concedeva la sua grazia, e io la notte innalzavo cantici per lui come preghiera al Dio che mi dà vita. 9 Dirò a Dio, mio difensore: «Perché mi hai dimenticato? Perché devo andare vestito a lutto per l’oppressione del nemico?» 10 Le mie ossa sono trafitte dagli insulti dei miei nemici che mi dicono continuamente: «Dov’è il tuo Dio?» 11 Perché ti abbatti, anima mia? Perché ti agiti in me? Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora; egli è il mio salvatore e il mio Dio.

Nell’”Innario cristiano” abbiamo la versione di questo salmo nella musica del 1551. L’inno ci permette di sentire una rilettura del salmo, che pone degli accenti differenti, e che ci fa riflettere su come i salmi possano diventare le nostre preghiere. Nel nostro inno a parte la suggestione che può prenderci quando pensiamo che è sulla musica del cinquecento in piene guerre di religione, si vede come il dubbio sia molto più esplicito che nel testo originale.

Questo salmo è visto da molti come completo aggiungendovi quello che segue, infatti nel 43 c’è il ritornello che si ripete: Spera in Dio… , e prosegue la stessa tematica.

Il ruolo del ritornello, in questo salmo che se non sarebbe quasi disperato, è però fondamentale. Prima di ritornarci vogliamo considerare le due immagini iniziali. Le due immagini della cerva e degli abissi, possono essere viste sia come ispirate da una osservazione della natura, la cerva e i ripidi torrenti che vanno al Giordano, sia come un richiamo a motivi poetici tradizionali, ad esempio l’identificazione dell’oceano con la malattia e la morte. Bisogna riflettere che l’io del poema e l’io dell’autore possono essere diversi e dunque, non solo dobbiamo affidarci a ciò che è scritto piuttosto che alle improbabili ricostruzioni dell’ambiente e dell’occasione dell’autore, ma dobbiamo riflettere sulla simbologia usata, appunto anche come simbologia poetica e non solo come occasioni letterarie. La ricerca fisica dell’acqua, con il mugolio della cerva che trova i torrenti secchi, è paragonata a quella del salmista esule, che è lontano dal Dio della vita. Gli altri monti in cui è il salmista gli danno, invece, la nostalgia del monte Sion.

Inoltre c’è l’individuazione di Dio nel tempio. A chi gli chiede dove è il tuo Dio, la risposta non è tanto è comunque con me, ma egli è lontano sul monte Sion e non sul Misar. L’episodio della samaritana dà una risposta cristiana illuminante a questo salmo. Quell’episodio comincia con il tema dell’acqua, Gesù cristo come acqua della vita, ma anche la sete della samaritana di conoscere Dio. Quando poi la samaritana comprende chi sia veramente Gesù, cioè proprio colui che doveva arrivare, ella domanda subito su quale monte si deve adorare, cioè dove è il luogo in cui si è più vicini a Dio. E la risposta di Gesù è che viene presto il tempo in cui non si adorerà su nessun monte, ma dappertutto in Spirito e Verità. Questo segna la fine del culto di Dio in un preciso luogo, ed è la risposta al nostro salmista. Alla domanda dove è il tuo Dio, la risposta è che mi accompagna nella mia sofferenza (confronta peraltro il salmo 23).

Tutto il salmo vive, dunque, di una specie di dialogo interiore, che riferisce le domande degli avversari. Si vede una polarizzazione umana, fra fiducia e sfiducia. C’è anche per noi il tema dell’assenza/presenza di Cristo. Il ritornello, quello che esprime la certezza ferma del credente, anche quando è roso dal dubbio, è ciò che fa di questo passo un salmo. Ci si può domandare anche qui se la speranza è attuale oppure anche o soprattutto escatologica. Ma il ritornello ci dice che grazie alla speranza certa cristiana, che è sia escatologica che per il prossimo futuro, la vita è già ora differente. Noi non abbiamo paura oggi, perché un dì, trionferemo.

Proprio di fronte a questo salmo così intimo, e così pieno di umano dubbio e debolezza, vale la pena chiedersi: in che senso i salmi sono parola di Dio, e non solo parole di credenti? E vale la pena di rispondersi con Bonhoeffer, che dice che già nella incerta e dubbiosa nostra preghiera noi siamo aiutati da Gesù Cristo, nel formulare le nostre parole, nel riordinare i nostri pensieri… in sostanza le nostre parole, grazie al suo Spirito, sono già le parole del Signore.

Salmo 103

Uno dei salmi più amati, in cui si loda il Signore perché benigno e non ci tratta secondo i nostri peccati.

Un salmo presente sia nella liturgia ebraica sia in quella cristiana. Ma anche diviene facilmente preghiera personale. È considerato un salmo “evangelico”, che precede e prepara potremo dire, il messaggio di Gesù Cristo.

Nell’originale ebraico ha 22 versetti, quante le lettere dell’alfabeto ebraico, per alcuni vuole indicare la completezza della benedizione.

1 Di Davide. Benedici, anima mia, il SIGNORE; e tutto quello ch’è in me, benedica il suo santo nome. 2 Benedici, anima mia, il SIGNORE e non dimenticare nessuno dei suoi benefici. 3 Egli perdona tutte le tue colpe, risana tutte le tue infermità; 4 salva la tua vita dalla fossa, ti corona di bontà e compassioni; 5 egli sazia di beni la tua esistenza e ti fa ringiovanire come l’aquila.

In questo salmo si invita a benedire il Signore per i suoi benefici e per il suo intervento. È un canto dunque di benedizione. BRK=benedire originariamente deriva dalla concezione antica di conferire una “forza sacrale”. Benedire qualcuno significa dichiarare che Dio lo ha benedetto, benedire Dio vuol dire riconoscere che egli è l’origine di quella forza. In questo ultimo senso è qui usato ed è analogo a lodare.

I primi cinque versetti sono un “soliloquio”. Dove è scritto “anima mia” si intende, infatti, me stesso, il mio io più intimo, parte dunque come una lode personale.

La lode parte dal beneficio più importante che è il perdono dei peccati al primo posto nel versetto 3 poi ripreso nei versetti centrali del salmo da 8 a 13. Nel 3 solo dopo c’è la lode per la salute e quindi per essere scampati alla fossa, poi la lode è fatta in positivo per la benignità, le compassioni e la sazietà, concreta, di beni nel corso della vita, fino ad una vecchiaia serena, quasi una seconda giovinezza o già un annuncio di resurrezione. Infatti ha ringiovaniti come l’aquila quando cambia il piumaggio o come l’araba fenice rinascente dal fuoco.

6 Il SIGNORE agisce con giustizia e difende tutti gli oppressi. 7 Egli fece conoscere le sue vie a Mosè e le sue opere ai figli d’Israele.

Poi in 6 e 7, ci si riferisce esplicitamente a come si è comportato il Signore con Israele, come popolo. Dunque la lode non è solo personale, ma comunitaria. Il salmista considera dunque la sua vita sullo sfondo della vita e della storia del suo popolo, in cui il Signore interviene difendendo gli oppressi ed è intervenuto guidandolo lungo le sue vie (vedi Esodo 33).

I versetti che seguono si possono riferire ancora ad Israele, ma hanno uno sguardo più ampio, sta parlando per ogni essere umano.

8 Il SIGNORE è pietoso e clemente, lento all’ira e ricco di bontà. 9 Egli non contesta in eterno, né serba la sua ira per sempre. 10 Egli non ci tratta secondo i nostri peccati, e non ci castiga in proporzione alle nostre colpe. 11 Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così è grande la sua bontà verso quelli che lo temono. 12 Come è lontano l’oriente dall’occidente, così ha egli allontanato da noi le nostre colpe. 13 Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso il SIGNORE verso quelli che lo temono.

C’è qui il superamento della concezione della giustizia retributiva di Dio. Questo concetto sul quale l’Antico Testamento si interroga e che critica è peraltro già differente rispetto al capriccio riferito agli dei pagani antichi. Dunque, Dio che non commisura la pena al peccato (un parallelo in Geremia 3,5.12 dove l’unica condizione posta è di riconoscerlo, come successivamente sembra anche in questo salmo.).

Attenzione allora che nei salmi non c’è solo sentimento, ma una forte e rigorosa teologia.

La concezione della giustizia di Dio si traduce anche in un atteggiamento nei confronti di Dio. Di fronte alla divinità capricciosa ci sono riti e gesti o scongiuri che tendono ad imbonire la divinità. Per il giudice che risponde al peccato c’è una concezione normativa, di norme da seguire scrupolosamente per guadagnarsi una non-belligeranza. Ancora oggi noi troviamo fra la gente presenti questi due tipi di mentalità.

E l’atteggiamento nei confronti del Dio misericordioso? È proprio la lode, come nel nostro salmo. La lode come punto di partenza nella vita del credente, da cui poi segue veramente tutto il resto, e non solo per timore o per finta.

Qual è il motivo di tanta generosità di Dio? Ecco che quello che potrebbe sembrare un superficiale “tutto va bene” è invece espressione di chi conosce la difficoltà e la distretta umana.

14 Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere. 15 I giorni dell’uomo son come l’erba; egli fiorisce come il fiore dei campi; 16 se lo raggiunge un colpo di vento esso non esiste più e non si riconosce più il luogo dov’era. 17 Ma la bontà del SIGNORE è senza fine per quelli che lo temono, e la sua misericordia per i figli dei loro figli, 18 per quelli che custodiscono il suo patto e si ricordano di mettere in pratica i suoi comandamenti.

Il motivo della misericordia di Dio viene visto nella sua immensa superiorità rispetto a noi. Egli è generoso come un Padre, e come un Padre è commosso dalla fragilità dei suoi figli. Ed a fronte della caducità umana l’unica cosa che conta è la benignità eterna del Signore. (Si veda come parallelo dell’erba che secca Isaia 40)

Questa benignità in alcuni testi biblici (come in parte anche qui) si realizza nell’avere generazioni future piene di doni, ma da un punto di vista cristiano ci si concentra sulla creatura stessa. Allora l’eterna beatitudine data da Dio dà all’essere umano una dimensione nuova, dono di Dio e non ontologica (come sarebbe una immortalità dell’anima). È la resurrezione.

Eccoci pronti allora alla fine del salmo al ringraziamento finale del Signore per i suoi doni:

19 Il SIGNORE ha stabilito il suo trono nei cieli, e il suo dominio si estende su tutto. 20 Benedite il SIGNORE, voi suoi angeli, potenti e forti, che fate ciò ch’egli dice, ubbidienti alla voce della sua parola! 21 Benedite il SIGNORE, voi tutti gli eserciti suoi, che siete suoi ministri, e fate ciò che egli gradisce! 22 Benedite il SIGNORE, voi tutte le opere sue, in tutti i luoghi del suo dominio! Anima mia, benedici il SIGNORE!

Non siamo soli nella lode, ma insieme a tutti i ministri, ai messaggeri, a tutti coloro che lo servono (immaginando come una grande corte come quella di un re) c’è anche l’anima mia. Ci siamo anche noi.

Si osservi che nei testi biblici di solito con bontà o benignità, che sono da trattare come sinonimi, c’è spesso fedeltà. La fedeltà di Dio che si ricorda delle sue promesse. Qui invece c’è compassione.

La benignità di Dio è sia sua natura e sia la sua azione. La salvezza è una manifestazione del suo regnare. E il fedele benedetto risponde benedicendo Dio.

Quelli che lo temono, sono quelli che cercano di orientare la propria vita secondo il Signore.

È dunque questo un salmo dei più celebri e diffusi, perché è sì un inno di pentimento, ma non lo fa attraverso una lamentazione, ma è invece gioioso. In effetti, ogni preghiera, come anche ogni azione può iniziare con la lode al Signore. Se invece non si loda difficilmente saremo motivati a vivere cercando di seguire la via che Gesù Cristo ci addita.

Salmo 111

Inizia subito con Alleluia: Lode a Dio. Ed in effetti è un salmo di lode. Per un commentatore questo alleluia deve essere inteso (visto che non fa parte dell’acrostico alfabetico con cui è costruito il salmo) quasi come un “vogliamo pregare” iniziale, ma molto più significativo.

Il Salmo è in prima persona, ma è chiaro che parla a nome dell’assemblea, come altri salmi.

Alleluia.

Io celebrerò il SIGNORE con tutto il cuore nel convegno dei giusti e nell’assemblea.

Dunque il tema è quello della lode al Signore (YHWH) e quel “celebrerò” è anche traducibile in “ringrazierò”.

I giusti, o i retti, sono quelli che seguono o hanno deciso di seguire la Parola del Signore e che si riuniscono. Siamo quindi già trasportati nel contesto del culto, o anche il culto è un po’ già l’obiettivo.

Per cosa si celebra il Signore? Ecco che ce lo dice.

Grandi sono le opere del SIGNORE e contemplate da chi le ama. Le sue opere sono splendide e magnifiche e la sua giustizia dura in eterno.

Le grandi opere del Signore sono il primo motivo di lode.

Contemplate si potrebbe tradurre anche con ricercate. Sono splendide e magnifiche, ma sono contemplate perché amate, perché sono del Signore. In qualche modo non sono viste, o non sono così considerate da tutti, e quindi la lode è dei credenti. (Prendendo da dopo coloro che temono il Signore le vedono).

Le opere potrebbero essere ovviamente la luna e le stelle -come nel Salmo 8- o più in generale possono essere le grandi meraviglie del Creato, ma qui si aggiunge anche la giustizia e la prospettiva di eternità. Una lode quindi per la Creazione e per la storia della salvezza.

Non è quindi una lode per qualcosa di statico, ma una lode per la Creazione nel suo sviluppo nel tempo e per gli interventi (che sono sempre di giustizia) del Signore.

Questa dimensione storica è intrecciata con la visione provvidenziale classica, infatti abbiamo poi:

Ha lasciato il ricordo dei suoi prodigi; il SIGNORE è pietoso e misericordioso. Egli dà cibo a quanti lo temono e si ricorda in eterno del suo patto. Egli ha mostrato al suo popolo la potenza delle sue opere, gli ha dato l’eredità delle nazioni.

Il ricordo, che traducibile anche con “memoriale”, si riferirebbe direttamente alla Pasqua ebraica. Si può considerare anche la teologia del patto in rapporto alla Cena del Signore nella riflessione di Zwingli ed altri.

La lode è sia per l’Esodo (ha mostrato la potenza della sua opera), ma c’è anche il Sinai (il patto), e quindi per l’intervento storico di Dio. Infatti, il patto (il patto del Sinai ovviamente, ma che continua nel tempo con il popolo di Israele) introduce questa dimensione storica, che c’è spesso nei salmi.

Dunque, con il ricordo, abbiamo quindi una fede storica, insieme al dare il cibo, che è l’intervento classico nell’idea di provvidenza (ma qui limitato a quanti lo temono vs Salmo 136:25 Colui che dà il cibo a ogni creatura, perché la sua bontà dura in eterno.)

La struttura del Salmo sembra essere concentrica, nel senso che si ripetono dei concetti simmetricamente nel testo e il centro sarebbe allora quello che segue, infatti dopo continua con altre immagini sempre sulla stessa falsariga.

Le opere delle sue mani sono verità e giustizia; tutti i suoi precetti sono fermi, stabili in eterno, fatti con verità e rettitudine.

I precetti, traducibile anche in comandamenti, sono al centro di questo testo. L’intervento del Signore è sempre di verità e giustizia e non mutano (stabili in eterno) la sua Parola.

Egli ha mandato a liberare il suo popolo, ha stabilito il suo patto per sempre; santo e tremendo è il suo nome.

Qui c’è un’acclamazione, che guarda forse già alla trascendenza (santo è letteralmente “separato”), con il liberare, che potrebbe anche essere tradotto con redimere. La prospettiva di liberazione ben si collega quindi –per noi cristiani– all’opera di Gesù Cristo e all’evangelo.

Il timore del SIGNORE è il principio della sapienza; hanno buon senso quanti lo praticano. La sua lode dura in eterno.

Il timore del Signore, indica il rispetto dovuto a Dio ed è usato per descrivere l’esperienza della fede.

Il timore del Signore si pratica, nel senso quindi che si vive la vita con rispetto e fiducia in Lui. Si deve distinguere il bene dal male e praticare il bene per avere buon senso. Ma è anche l’inizio della sapienza, cioè per capire pienamente il reale: mondo e storia, è indispensabile la fede.

Qui si può richiamare il tema del perché non possiamo mai smettere di parlare di fede e di scienza insieme (che era di un altro mio articolo).

Salmo 121

Canto dei pellegrinaggi. Alzo gli occhi verso i monti… Da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal SIGNORE, che ha fatto il cielo e la terra.

Egli non permetterà che il tuo piede vacilli; colui che ti protegge non sonnecchierà. Ecco, colui che protegge Israele non sonnecchierà né dormirà. Il SIGNORE è colui che ti protegge; il SIGNORE è la tua ombra; egli sta alla tua destra. Di giorno il sole non ti colpirà, né la luna di notte. Il SIGNORE ti preserverà da ogni male; egli proteggerà l’anima tua. Il SIGNORE ti proteggerà, quando esci e quando entri, ora e sempre.

Traduzione più letterale:

Canto per le ascese. 1 Elevo gli occhi ai monti, da dove mi verrà l’aiuto? 2 Il mio aiuto è dal Signore che ha fatto cieli e terra. 3 Non renderà possibile che il tuo piede sia incerto, non si addormenterà il tuo custode. 4 Ecco, non dormirà né si addormenterà il custode di Israele, 5 il Signore è il tuo custode, il Signore è la tua ombra alla tua (mano) destra, 6 di giorno il sole non ti colpirà né la luna di notte, 7 il Signore ti custodirà da ogni male, custodirà la tua vita, 8 il Signore custodirà il tuo uscire e il tuo entrare da ora fino all’eternità.

Sovrascritta

Canto per le ascese oppure canto dei pellegrinaggi. I salmi erano preghiere, ma erano sicuramente spesso o sempre anche cantati.

Ci sono varie ipotesi per interpretare la sovrascritta, ma nessuna delle ipotesi fatte per spiegarla è certa. Poteva essere un salmo di salita a Sion, per andare al Tempio, quindi anche di pellegrinaggio, ma non ci sono elementi che lo indicano con sicurezza. Soprattutto perché c’è una salita faticosa, ma anche pericolosa, quasi con davanti monti da scalare.

Infatti, il momento del pellegrinaggio non si associa all’idea di pericolo, implicita nella domanda iniziale. Certo la strada che va da Gerusalemme a Gerico risulta in varie epoche molto pericolosa, ma non si vede perché questa sia più pericolosa nei momenti di pellegrinaggio, con molte persone che la percorrono, rispetto a quando la si percorre in giorni senza occasioni speciali.

Altro aspetto riguarda la domanda iniziale sui monti.

1-2

Siamo di fronte ad un dialogo o ad un monologo? È un salmo individuale o liturgico? Molte sono le ipotesi, legate al passaggio dall’io al tu, ma nessuna soddisfacente, la brevità del salmo non permette di decidere su queste ipotesi. L’idea, però, di un monologo interiore, che inizia da un momento di ansia o di scoraggiamento, non determinato da un evento preciso, rende bene il tenore del salmo e l’assenza di specificazioni sulle circostanze di composizione. E poi il salmo così in origine diverrà liturgico successivamente.

La frase in 1c è interrogativa o relativa? Lutero seguendo la Vulgata rendeva la domanda con una relativa: Alzo gli occhi verso i monti dai quali mi verrà l’aiuto. La maggior parte dei commentatori non seguono questa traduzione, per la traduzione ebraica.

Di quali monti si parla? Quelli di Gerusalemme dove sorge il Tempio? Quelli di Israele dove ci sono dei santuari anche pagani? (Per cui non si rivolge a quegli idoli, ma al Signore) Genericamente un monte da scalare per passare oltre? L’alzare gli occhi ha un senso traslato come una preghiera accorata nel momento delle difficoltà? (I termini di protezione del Signore appaiono qui spesso).

Più in dettaglio ecco varie ipotesi:

  1. I monti sono proprio quelle zone montuose, con valli e passi, con sole cocente e mancanza d’acqua, con il pericolo di imboscate, per i quali deve passare il pellegrino, oppure nel caso più generico i monti faticosi e pericolosi che deve affrontare il viaggiatore.
  2. I monti sono i monti sacri per le varie genti della Palestina. L’Hermon, il Tabor, lo Zafon cioè i monti sacri ai vari Baal. E quindi il salmista si risponderebbe, che è invece il Signore che dà aiuto. Il dubbio politeistico potrebbe essere allora solo una artificio letterario per far risaltare di più la fiducia nel Signore. Questa interpretazione parte dalla lettura di altri salmi 48,3; 68,16; 89,13. Ma sembra riferirsi ad una letteratura più ricercata della suggestiva semplicità del salmo e si basa necessariamente sull’ipotesi che il 121 sia un salmo di pellegrinaggio verso Sion.
  3. I monti sono semplicemente il monte di Sion, o meglio i monti su cui è costruita Gerusalemme, o i monti di Israele più genericamente, magari con i santuari patriarcali. Questa interpretazione si basa sui altri salmi come 3,5; 87,2; 125,1 (che fa parte della stessa serie dei salmi di salita), 134,3. In questo caso il pensiero ai monti di Sion già ha dentro implicitamente la risposta. La domanda in quel caso è strettamente retorica.
  4. L’alzare gli occhi ai monti sarebbe equivalente ad alzare gli occhi al cielo, saremmo di fronte in tal caso all’inizio di una preghiera, una richiesta al Signore di aiuto. In questo caso si fa notare che l’espressione di elevare gli occhi verso l’alto ha talvolta il significato di pregare. Questa ultima ipotesi affiancata alle altre dà alle prime tre un aspetto più indefinito. Letterariamente fa pensare che di fronte ai pericoli che ci attendono la preghiera sgorghi spontanea dal cuore, prima che possa essere verbalizzata dalla mente. Si può notare che se si immagina il salmo in una liturgia all’interno del tempio, che è sopra a Gerusalemme, proprio l’inizio del salmo con lo sguardo ai monti può essere considerato solo una trovata letteraria. Ma allora sorgerebbe la domanda se l’alzare gli occhi ai monti sia un sinonimo di levare gli occhi al cielo.

Questa immagine di supplica o di perplessità potrebbe rimandare anche quella degli “occhi” del Signore che non lasciano chi si confida in Lui.

L’interpretazione più comune è che i monti sono semplicemente il monte di Sion, o meglio i monti su cui è costruita Gerusalemme. Questa interpretazione si basa anche su altri salmi simili. In questo caso il pensiero ai monti di Sion ha già dentro implicitamente la risposta. La domanda in quel caso è strettamente retorica.

“Il mio aiuto è dal Signore”. Credere nel Creatore è qualcosa di vitale per Israele e non solo di filosofico. Proprio sulla potenza del creatore si basa la fiducia piena nel Signore, che però è vicino e fedele alle sue creature. Siamo qui già arrivati alla identificazione del Signore di Israele con il Creatore come si ribadisce nei versetti successivi. (Cieli e Terra. Cieli anche con il senso di universo. Terra, l’intera terra e non una sola parte, spesso opposta ai cieli.)

3-4

Si ritrova la simbologia fisica nel piede che vacilla (lett. Il vacillante, il tremolante), nel piede stanco del viaggiatore, che non procede come conquistatore, ma avanza nel timore e nell’incertezza, un modo per farci apprezzare fisicamente la debolezza umana di fronte alla forza sicura del Signore. (Il vacillare si trova in altri salmi come 38,17; 55,23; 66,9 e 91,12).

È una immagine che evoca l’instabilità della vita umana, descrivendo l’incertezza dei passi dei viaggiatori, e associando la vita all’idea di viaggio. Anche nel versetto finale i verbi usati di entrare e uscire continueranno ad utilizzare questa immagine di vita come un continuo viaggio. (Infatti questo salmo parla dei viaggi nella vita e del viaggio che è la vita).

Compare qui, in questi versetti, il termine custode che si ritroverà per sei volte. Il custode, il difensore, il guardiano di Israele e l’immagine del pastore di Israele si richiamano fra loro. Infatti l’espressione “non sonnecchia e non dorme” fa proprio parte dell’immagine del pastore, come di quella della sentinella. In questo caso ci troviamo di fronte all’identificazione del creatore con la fede storica di Israele.

L’idea del Creatore, non si riduce solo al momento della creazione, ma al fatto che il creatore continua ad occuparsi e sostenere la sua creazione, ma la terminologia sembra più riferirsi all’idea del patto. Si può osservare comunque che la salvezza non è solo del popolo, ma qui chiaramente anche del singolo che fa parte di quel popolo.

5-6

L’ombra è di nuovo un simbolo di protezione, come quello del custode. In questo versetto i due termini compaiono strettamente legati al nome sacro del Signore, ripetuto quindi due volte.

La destra indica di solito la mano ed il braccio più vigorosi, ed inoltre se il protetto è sulla sinistra la destra è libera di impugnare la spada (evidentemente non c’erano molti mancini e quindi non si suppone il Signore mancino).

Anche l’avvocato nei processi era alla destra dell’accusato. Alcuni inoltre notano che è stando sulla destra che chi procede dall’Egitto riceve ombra nelle ore più calde, e quindi stiamo qui di fronte ad un gradualismo di una immagine, che sarà esplicitata nel versetto seguente, che fa riferimento all’esperienza dell’Esodo. D’altra parte l’immagine dell’ombra potrebbe non essere necessariamente collegata al versetto seguente, ma indicare la vicinanza del Signore e la sua costanza nell’essere vicino, come un’ombra che segue sempre la persona che la produce.

La protezione dal sole trova spiegazione nel fatto che le insolazioni erano e sono frequenti in quei climi, senza le dovute accortezze. Lo dimostrano anche le molte citazioni di insolazioni descritte dalla Bibbia (II Re 4,19; Giona 4,8; Is 49,10 addirittura immagine escatologica la protezione dai colpi di sole).

Anche alla luna, però, erano attribuite malattie, e ancora ora pare lo siano nei paesi arabi. Anche in italiano è rimasta questa idea nel termine di lunatico. Naturalmente le immagini del sole e della luna, che colpiscono, anche se traggono origine dall’idea del viaggio e dei suoi pericoli, sono qui esempi da generalizzare, come farà il versetto successivo.

7-8

Nefes proprio la tua persona con la vita, sarà protetta da ogni sorta di mali.

Nefes si può tradurre con alito, respiro (era il modo per sapere se una persona o animale ((il termine si riferisce anche agli animali)) fosse vivo o no); ma anche avidità; anima; vita; essere vivente. È uno dei vocaboli più studiati dell’Antico Testamento. Il contesto caratterizza la traduzione da scegliere.

In questo caso dato che si tratta della protezione del Signore può andare bene vita oppure anima. In quest’ultimo caso, comunque, non si può dimenticare che l’anima si riferisce alla “anima vitale”, cioè a tutta la tua persona con la sua vita. Mai all’anima in senso platonico, nella prigione del corpo (può causare dubbi usare anima nella traduzione). Ritroviamo anche qui dunque la persona tutta, con il suo respiro che è la caratteristica somatica, fisica, che c’è in tutto il salmo.

Uscire ed entrare hanno un senso generale e dunque i due termini vanno bene sia per l’entrata e l’uscita del viaggio del pellegrino da Sion o più genericamente del viandante verso dalla sua meta, sia per tutte le entrate e uscite, da casa per i campi, per il lavoro, per la guerra e via dicendo della vita, oppure ancora tutte le uscite ed entrate anche figurate come il nascere ed il morire.

C’è poi da osservare che la conclusione “da ora in eterno”, anche se a un sapore liturgico (cfr. Salmo 115,18), ha un senso molto forte. Infatti non è dice solo in perpetuo, ma suggerisce anche oltre la vita stessa, l’eternità è infatti dominio del Signore.

Conclusione

Concludendo: come era vissuta allora l’assicurazione di protezione?

Certamente ieri come oggi era con gli occhi della fede che si poteva scorgere il benigno intervento del Signore. Ma forse per il credente di allora, viste le immagini che usa, il senso della protezione divina era più reale e concreto, come anche sentita era dunque la lode.

Si può dire anzi che la salvezza era già in atto se chi supplicava non aveva più paura. Nel nostro tempo la protezione del Signore sembra riferirsi solo ad alcuni momenti eccezionali, o forse viene spesso relegata, persino in ambito evangelico, a qualcosa di funzionante per un aldilà sia pure incerto.

Lo scoramento e la tiepidezza anche di alcuni evangelici derivano forse dal fatto che il Signore viene concepito, nonostante Gesù Cristo, come lontano e in fondo come non necessario alla nostra vita quotidiana e concreta. La fiducia nel viaggio della vita nell’intervento del Signore appare dunque non una forma di rassegnazione, ma amare veramente la propria esistenza.

Con riferimento al viaggio della vita, quando esci, cioè quando nasci dal ventre materno, e quando entri, cioè quando entri nella terra, con le sue difficoltà nel mezzo, viene usato nei funerali. Ma per l’appunto non è solo per il momento della morte, ma è un salmo sulla protezione del Signore sempre.

Salmo 130

1 Canto dei pellegrinaggi. O SIGNORE, io grido a te da luoghi profondi! 2 Signore, ascolta il mio grido; siano le tue orecchie attente al mio grido d’aiuto! 3 Se tieni conto delle colpe, Signore, chi potrà resistere? 4 Ma presso di te è il perdono, perché tu sia temuto. 5 Io aspetto il SIGNORE, l’anima mia lo aspetta; io spero nella sua parola. 6 L’anima mia anela al Signore più che le guardie non anelino al mattino, più che le guardie al mattino. 7 O Israele, spera nel SIGNORE, poiché presso il SIGNORE è la misericordia e la redenzione abbonda presso di lui. 8 Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.

Il salmo 130 è noto come il De Profundis dalle prime parole della traduzione latina (Vulgata). È spesso anche usato come salmo ai funerali cattolici, ma non necessariamente è un salmo da funerale, infatti il salmo non parla di morte e di sofferenza fisica, ma di peccato e di perdono. È stato oggetto nel corso della storia di numerose rielaborazioni, di cui alla fine daremo due esempi.

1-2

I luoghi profondi rappresentano lo stare lontano da Dio, cioè lo stato di peccato. Il salmista grida, meglio invoca il Signore, da questa condizione e conoscendo la situazione di peccato. Si comprende bene che è così dai versetti che seguono. Infatti non c’è angoscia in questo salmo, e segue subito la spiegazione dell’universalità del peccato.

3

Nessuno potrebbe reggere se Dio giudicasse con severità (Nah 1,6; Mal 3,2; Sal 76,8; Sal 79,8; invece Gb 10,14 e 14,16). Qui come in genere, c’è la sottolineatura che non si può resistere allo sguardo del Signore, proprio per il proprio peccato. È una sensazione quasi fisica di non essere a posto.

La confessione del salmista si confonde con gli altri è una confessione generica. Questo, vista la serietà del salmo, non per minimizzare, ma per sfuggire alla tentazione dell’esibizione di essere un grande peccatore. Conosciamo casi di non sobrietà, in cui ci si scusa o si dichiara il proprio peccato quasi vantandosene. Egli è uno dei tanti, ma nessuno resterebbe in piedi.

L’universalità del peccato appare come una constatazione generale, non come una disquisizione filosofica. L’estensione a tutti, appare ovvia,in altre parti è frutto di una riflessione teologica. Nel Salmo 18 ed in Giobbe 33,9 si parla di giusti, quasi a negare l’universalità del peccato, ma sempre si ricordano i peccati involontari che si commettono. Bisogna però distinguere fra la concezione etico-giuridica (che vincolando il peccato alla trasgressione di norme indica la possibilità di non trasgredirle) ed una che lo riconduce alla condizione di fragilità umana, di distanza dell’umanità da Dio (uno stato di peccato e non peccati commessi, o meglio uno stato di peccato che porta a non confidare in Dio, e quindi a peccati volontari, e quindi alla mancanza di amore). Entrambe le due concezioni qui sono forse presenti: sia le colpe, sia la distanza dal Signore.

4

La fiducia nel perdono però è ugualmente salda come la coscienza dell’universalità del peccato. La fonte unica del perdono è proprio Dio. E qui non appaiono mediazioni, sacrifici, suppliche di sorta (anche se non sono esplicitamente escluse).

Perché/affinché tu sia temuto (ma potrebbe essere tradotto anche: e perciò tu sei temuto). Il buon Dio non è allora un bonaccione. Comunque la colpa è giudicata seriamente. Oppure con la traduzione con perciò: la misericordia divina è così alta rispetto ai nostri meschini calcoli, da suscitare timore reverenziale. In questo senso potrebbe avere senso finale, Dio perdona per essere temuto, perché anche il perdono è pedagogico. Alcuni intendono che il timore di Dio vada inteso come l’atteggiamento riverente, non negativamente, di fronte alla sconcertante potenza di Dio, e quindi anche di fronte al suo amore sconcertante e grandioso.

5-8

Mentre il senso dei versetti 5 e 6 è chiaro, il testo originale appare incerto, forse è corrotto. Per il senso: da ciò che precede è chiaro che ciò che è atteso dal Signore è in particolare il suo perdono, ed è atteso perché è presso il Signore la benignità.

Forse il riferimento ad Israele è posteriore, ma come spesso si ha nei salmi la preghiera del salmista è inserita in quella del suo popolo. Ora per noi è più naturale che fosse l’esperienza personale del salmista ad essere allargata a tutto il popolo, ma nella mentalità dell’antico Israele è vero il contrario, essendo il Signore colui che riscatta Israele, che lo salva dalla schiavitù, che perdona il suo popolo, si può aspettarsi con fiducia di estendere al caso personale la misericordia divina.

Anche per noi cristiani questo discorso è interessante e va sottolineato. La salvezza è gratuita ed è di molti, da qui ne viene una nozione di fraternità forte, di essere come un popolo: siam figli di un solo riscatto. Due esempi di rielaborazioni poetiche. Le rielaborazioni ci permettono di vedere cosa altri hanno sentito e visto in un salmo, in quale modo lo hanno fatto rivivere, e lo hanno fatto proprio.

De profundis clamavi. Imploro la tua pietà, o tu, l’unico che io ami, dal fondo del buoio abisso dove il mio cuore è caduto. È un universo cupo dall’orizzonte plumbeo, dove vagano nella notte l’orrore e la bestemmia; un sole senza calore si libra su di esso per sei mesi e per gli altri sei mesi la notte copre la terra; è un paese più nudo della zona polare; né animali, né ruscelli, né vegetazione, né boschi! Ora non c’è orrore al mondo che superi la fredda crudeltà di quel sole di ghiaccio e tale immensa notte simile all’antico caos; invidio la sorte dei più abietti animali che possono sprofondarsi in un sonno stupido, mentre la matassa del tempo lentamente si dipana! (da Baudelaire, I fiori del male, 1857)

Ascolta il mio S.O.S. Dal profondo grido a te Signore
Grido di notte nella prigione e nel campo di concentramento
Nella camera di tortura nell’ora delle tenebre – l’ora dell’interrogatorio – ascolta la mia voce
il mio s.o.s.
Se tu tenessi conto dei peccati
Signore chi si salverebbe?
Ma tu perdoni i peccati
non sei implacabile come loro durante l’interrogatorio
Io confido nel Signore e non nei leader e negli slogan
Confido nel Signore
e non nelle loro trasmissioni
Aspetta l’anima mia il Signore
più che le sentinelle l’aurora
più di quanto sono lunghe in prigione le ore notturne
Mentre noi siamo prigionieri loro sono in festa
Ma il Signore è la liberazione
la libertà d’Israele. (Ernesto Cardenal, Grido. Salmi degli oppressi, 1979)

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