Fraternità e vita eterna

StefanoVideoMeditazione17 Novembre 202420 Views

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C’era un problema nella comunità dei cristiani di Roma, su cui l’apostolo Paolo interviene con saggezza pastorale.

Il problema era se si potessero mangiare la carni sacrificate nei templi pagani e quindi offerte agli dei, che dopo venivano vendute al pubblico. Alcuni sostenevano, e l’apostolo era d’accordo con loro, che si potessero mangiare, se non si condivideva nessuna fede e atto di culto verso gli idoli. Altri erano invece contrari, gli sembrava di partecipare comunque ad un rito idolatrico.

Era in effetti questa una caratteristica che allora distingueva gli ebrei dai pagani, e quindi probabilmente quelli di origine ebraica si trovavano più in difficoltà, anche se ora come cristiani avrebbe avuto una maggiore libertà.

(Versione audio)

Leggo e commento a brani il testo di Paolo.

Romani 14:6-13 Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore; e chi mangia di tutto, lo fa per il Signore, poiché ringrazia Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore, e ringrazia Dio.

Dunque, c’è una situazione in cui una parte della comunità si sente in dover di rispettare dei giorni di digiuno e di non dover mangiare carni che vengono da templi pagani.

Quello che l’apostolo sottolinea è che se prima di mangiare si rende grazie al Signore (è la preghiera prima dei pasti che un tempo si faceva sempre fra evangelici) allora è chiaro che si renda grazie al Signore e dunque non si ringrazia l’idolo.

Ciò ha a che fare, secondo l’apostolo, non con le parole che si dicono, ma con il fatto che come cristiani si è del Signore. Infatti prosegue:

Nessuno di noi infatti vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso; perché, se viviamo, viviamo per il Signore, e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. Poiché a questo fine Cristo è morto, è risuscitato ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti sia dei viventi.

Ogni cristiano quindi non vive più per sé, ma vive per il Signore e dunque siamo associati tutti insieme al Signore.

Sia che viviamo sia che moriamo siamo del Signore questa affermazione di potente speranza per la resurrezione e la vita eterna, ci proietta da noi in questo tempo con le nostre diatribe e perplessità, verso la maestà del Signore e il suo Regno che viene. Nel suo Regno saremo ancora associati al Signore e a fianco a fianco nel banchetto in cui il Cristo risorto ci accoglie con il nostro fratello.

È dunque un invito a vedersi come un unico corpo, la chiesa, anzi con il corpo di Cristo nel mondo che è la sua chiesa, a concentrarsi sull’annuncio di piena salvezza e resurrezione, e non su diatribe che sembrano grandi solo da una prospettiva limitata.

Ortodossia e ortoprassi

Ma “tu dici così” e “tu pensi cosà”, già li vediamo per esperienza come sono i membri delle chiese.

Va detto che nella nostra cultura cristiana millenaria si è visto un grande impegno sul lato dell’ortodossia. Nel senso cioè della definizione e della difesa delle cose giuste da credere e da dire. Ci sono state lotte, fin dai primi secoli, ad esempio per come definire in modo corretto la natura di Gesù, ci sono state prese di posizione acerrime contro chi non la pensava nello stesso modo, si è ucciso, altro che non turbare un altro fratello, come si legge poi nella lettera di Paolo.

Fondamentale, giustamente è la “confessione di fede”, perché ne va della comprensione che si ha di sé stessi e del proprio vivere.

Però non c’è solo ciò che si crede, c’è anche ciò che si fa, e nei secoli questo modo corretto di agire, detto ortoprassi, la maniera giusta di fare e di essere cristiani, non ha ricevuto la stessa attenzione dell’ortodossia.

Però, anche l’apostolo Paolo, anche quell’apostolo così infervorato, così severo e attaccabrighe, direbbero molti, che scrive e scrive per sottili distinzione teologiche, ebbene Paolo nella sua trattazione, parte dal dire di essere tutti cristiani, anzi che Gesù Cristo stesso è morto e risuscitato per questo, per radunarci e salvarci, e ci dice di non dividersi su queste questioni, anzi dirà poi che il più forte deve aver riguardo per chi ha una comprensione limitata della fede.

“Però c’è il giudizio finale!” Direbbero alcuni, bisogna tenerne conto e attenersi alla pura verità. Ebbene, scrive l’apostolo:

Ma tu, perché giudichi tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio; infatti sta scritto: «Come è vero che vivo», dice il Signore, «ogni ginocchio si piegherà davanti a me, e ogni lingua darà gloria a Dio». Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio.

Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui un’occasione di caduta.

Non giudicare dunque. Sembra impossibile, tanto è automatico. È chiaro che non bisogna essere occasione di caduta per il nostro fratello.

Ma alcuni vedono qui una limitazione alla libertà del cristiano. Sì, certo.

Noi sappiamo, infatti, che per molti cristiani è sempre preferibile il fervore della parola che crea distinzioni, che dimostra il vero o il falso, che va alla guerra (oggi grazie a Dio solo di parole), quel voler dimostrare di aver ragione, anziché lasciar vivere gli altri cristiani nella loro comprensione della fede. Però Paolo pone un limite.

fraternità

Perché qui c’è un altro valore profondo, che è comunitario quello della fraternità. Sia che viviamo, sia che moriamo, sia come viviamo come cristiani, siamo del Signore.

Essere membri della comunità cristiana non è solo essere ben definiti nella fede, ma restare assieme. E lo diciamo in questo mondo di esasperato individualismo.

E come faremo ad avere fraternità? Sembra impossibile a volte, forse vale solo per piccoli gruppi di persone molto simili. E invece la chiesa è piena di differenti sfumature…

Non dobbiamo però disperare. Il cristiano infatti non è un disperato, ma è invece pieno di speranza, perché dinnanzi alla vita umana, che è sociale e piena di ingiustizie, egli non spera nelle forze umane, ma nell’azione di Dio attraverso lo Spirito. E la fraternità è uno dei frutti dello Spirito.

Siamo chiamati dunque a progredire nella giustizia, ma anche nella pace, e questo possiamo farlo solo se siamo tutti insieme nella fraternità. Amen

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Blog personale di Stefano, pastore evangelico riformato. Nelle pagine varie informazioni sul cristianesimo. © 2005-2025 Stefano D’Archino CC-by-nc-nd
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