Il testo del profeta Michea, che leggerò e commenterò brano per brano, inizia invitando il suo popolo ad ascoltare la parola del Signore, perché dinnanzi alle tante ingiustizie e peccati del suo popolo, lo convoca a giudizio.
Michea 6:1-8 Ascoltate quindi ciò che dice il SIGNORE: «Àlzati, contendi con le montagne, i colli odano la tua voce! Ascoltate, o monti, la causa del SIGNORE! Anche voi, salde fondamenta della terra! Poiché il SIGNORE contende con il suo popolo e vuole discutere con Israele.
Siamo dunque come in una controversia legale. Qui è il Signore che si confronta e il suo popolo, e come giuria ci sono le montagne, che dal profondo reggono il mondo e salgono in alto. Cioè siamo come in un tribunale “cosmico”. Comunque siano le immagini poetiche c’è un contenzioso e una discussione richiesta dal Signore.
Ed ecco l’atto di accusa:
Popolo mio, che ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Testimonia pure contro di me! Sono io infatti che ti ho condotto fuori dal paese d’Egitto, ti ho liberato dalla casa di schiavitù, ho mandato davanti a te Mosè, Aaronne e Miriam.
Ricorda dunque, popolo mio, quel che tramava Balac, re di Moab, e che cosa gli rispose Balaam, figlio di Beor, da Sittim a Ghilgal, affinché tu riconosca la giustizia del SIGNORE».
Il Signore dunque ricorda di avere agito in favore della sopravvivenza, della vita e dello sviluppo del suo popolo, di essersi preso con giustizia cura di lui, ma questo popolo si sarebbe stancato del Signore. Pur avendo fatto tutto il bene per lui, quel popolo si è allontanato dal Signore.
In che senso? Sappiamo dal resto del libro di Michea che ciò si riferisce ad una società ingiusta e accaparratrice.
Anche oggi potremo dire che le persone si sono “stancate” del Signore, sia dal punto di vista di ingiustizie, ma anche in senso più profondo. Infatti, quello che era il quadro di riferimento (pur con tutte le differenze di interpretazione e di fede) delle leggi, della società, del senso comunitario cioè che ci fosse il Signore a cui rendere infine conto, che ci fosse il Signore a prendersi cura di noi e del mondo, sembra essere negato e naufragato. Sostituito a volte da idee astratte, da idee magiche o pensieri su influssi sconosciuti o da riferimenti morali e moralistici…
Però, in quell’epoca quell’essersi stancati, dimenticati, non si riferiva al culto o ai vari complessi sacrifici nel Tempio. Allora dinnanzi a quest’atto di accusa, subito qualcuno risponde pensando di dover aumentare il numero degli atti liturgici.
Con che cosa verrò in presenza del SIGNORE e mi inchinerò davanti al Dio eccelso? Verrò in sua presenza con olocausti, con vitelli di un anno?
Gradirà il SIGNORE le migliaia di montoni, le miriadi di fiumi d’olio? Dovrò offrire il mio primogenito per la mia trasgressione, il frutto delle mie viscere per il mio peccato?
Cosa dovrò fare di più per il Signore? Si chiede colui che è pio.
È sempre la stessa storia: cosa possiamo fare per il Signore. Quei sacrifici dei pagani e anche della liturgia del Tempio, sono sempre legati all’idea di fare qualcosa per ingraziarsi il nume, la potenza, la divinità, il Signore.
“Se non gli bastano i sacrifici che di solito abbiamo fatto finora, li aumenteremo, fino a quanto?“
Allora, offrire il primo agnello nato del gregge era un modo antico di ingraziarsi il Signore. Cioè, pur essendo alla fame si offriva la primizia al Signore, perché era una sorta di sacrificio propiziatorio affinché ne nascessero altri. In certo modo un fidarsi di Dio, in altro un volerlo comprare.
Ma se allora non bastano i montoni, dovrò forse sacrificare il mio primogenito? Il primo dei miei figli? Il sacrificio umano aborrito dagli ebrei (per cui odiavano i fenici) dovrà essere ripristinato?
Questo crescendo è tipico di una mentalità “do per ricevere”, che non se ne andrà mai facilmente dalle religioni e neanche da quella cristiana. Come se al Signore servisse qualcosa, come se si potesse e dovesse pagare il Signore.
Ma ecco che qualcuno del popolo risponde, forse è proprio il profeta:
O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; che altro richiede da te il SIGNORE, se non che tu pratichi la giustizia, che tu ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio?
Questo chiede il Signore non altro.
Prima di tutto di praticare la giustizia. Cioè non è solo una questione di ciò che si dice e nemmeno di qualche atto singolo di giustizia, ma di vivere “praticando” la giustizia, facendo entrare nella pratica quotidiana la giustizia, avere un modo di vivere giusto e in cui si persegua la giustizia a vari livelli e non solo “giuridico”. E la giustizia di cui si parla è legata a ciò che di bene ci ha fatto conoscere il Signore.
Poi c’è amare la misericordia (o la bontà in altre traduzioni). Per alcuni qui è da interpretare come una specie di moderazione nella giustizia, quasi a limitare le pretese di giustizia. Penso però che non vada necessariamente legato alla giustizia, ma sia un invito all’amore del prossimo: in questo un mondo di dolori e di distretta, bisogna anche essere misericordiosi con chi è nella difficoltà. Agire cioè anche di cuore, non basta la sola giustizia, ma occorre una solidarietà, una visione d’insieme della società.
Infine camminare, cioè vivere giorno per giorno quotidianamente e in ogni tempo con umiltà dinnanzi a Dio, anzi con lui.
Umiltà, che non vuol dire annullamento di se o delle proprie specificità, ma un concetto sobrio di se, soprattutto rispetto al Signore (da parte di quelli che lo temono).
Avere fede, quindi. Senza fede, amore del prossimo e giustizia non bastano, perché si ignora la fonte della giustizia e dell’amore.
E al giorno d’oggi c’è molto da fare in questo senso, proprio perché si ignora spesso il Signore.
primogenito
Però tutto quello che possiamo fare non basta. È cosi difficile la giustizia e tutto il resto, magari servirebbero un po’ di bei sacrifici ed olocausti?
No. Vivere non sbagliando, alle volte in modo drammatico non è possibile e non basta la sola buona volontà per non ritrovarsi nell’errore. Come salvarsi? Noi non possiamo far nulla è Dio che fa tutto per noi. E qui ritorniamo a quel primogenito da sacrificare.
È grazie al sacrificio dell’Unigenito che abbiamo salvezza. Egli diviene il primogenito dei morti e il sacrificio propiziatorio dei nostro peccato. Questo testo antico diviene un testo di riflessione per i cristiani sul valore unico e inimitabile e completo di Gesù Cristo.
Egli è il solo Salvatore ed anche Signore Colui che ci guida nella giustizia, nell’amore e nella fede. Per il nostro mondo dovremo reiniziare in questo annuncio di Gesù Cristo come Signore e Salvatore (e non genericamente un annuncio di Dio). Confidando il Lui possiamo allora vivere una vita consapevole tentando di praticare la giustizia, avendo a cuore la misericordia ed essendo guidati in tutto dalla fede. Amen