Una guarigione effettuata da Gesù diviene un’occasione di dibattito sulla volontà di Dio come liberatore. Questo nel passo di Luca che leggo e commento in brani.
Luca 13:10-17 Gesù stava insegnando di sabato in una delle sinagoghe. Ecco una donna, che da diciotto anni aveva uno spirito che la rendeva inferma, ed era tutta curva e assolutamente incapace di raddrizzarsi. Gesù, vedutala, la chiamò a sé e le disse: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». Pose le mani su di lei e, nello stesso momento, ella fu raddrizzata e glorificava Dio.
L’episodio si svolge di sabato. Il sabato era il giorno del riposo sancito nei comandamenti, in cui non si doveva affatto lavorare. Era il giorno del Signore, per riconoscere Dio come il vero ed unico Signore (come in Esodo 31:13). E quindi era anche giorno di culto. (Come poi per i cristiani si è traslato nella domenica.)
Siamo infatti in una sinagoga e tutto avviene durante il culto, quando Gesù -come altre volte- è stato chiamato ad insegnare, cioè a leggere e spiegare un brano della Scrittura, (ovviamente quello che per noi è l’Antico Testamento). Probabilmente c’è anche molta gente, fra di essi anche una donna completamente incurvata per via di una malattia, probabilmente alla colonna vertebrale.
Forse è appena entrata o forse era già lì, non lo sappiamo. Possiamo solo notare che nella sinagoga probabilmente era solo tollerata, per il suo essere donna. Ella però non fa nient’altro che stare nell’assemblea ad ascoltare. È lì per il culto e non chiede di essere guarita da Gesù. È Gesù, invece, che la nota, che la chiama. Gesù la chiama perché non può sopportare questa sofferenza, questa infermità che è contraria al volere di Dio.
E dunque, come subito ci saremmo aspettati, la guarisce.
È questo anche un segno messianico, quando arriva il Messia il male è sconfitto, la malattia viene sbaragliata, è uno dei segni della speranza dei tempi messianici.
E come abbiamo letto in Isaia: gli umili son nella gioia e la donna guarita, l’unica cosa che fa in tutto il racconto è: glorificare il Signore. Lei che non poteva guardare al cielo per diciotto anni, adesso eleva il suo sguardo e la sua voce per esaltare il Signore della vita. Giustamente non per ringraziare Gesù, il suo guaritore che è visto solo come un tramite, ma per glorificare Dio.
E questo miracolo, come tutti gli episodi in cui vediamo l’intervento possente di Dio, dà speranza. Dà speranza allora, ma anche a noi oggi. Annuncia che Gesù Cristo è arrivato per ristabilire salute e giustizia, per dare salvezza. Questo miracoloso intervento è un segno di speranza, sempre per tutte le situazioni difficili che si possono vivere. Ecco perché anche noi nel leggerlo siamo sorpresi e sollevati e diamo gloria a Dio. Sì, Gesù Cristo fa ogni cosa bene, è proprio il Figlio di Dio, il Messia che doveva arrivare.
Però, la storia non si chiude qui. Era infatti un sabato, il giorno del riposo, che si considerava da parte di molti ebrei si dovesse rispettare in maniera assoluta. Infatti:
Or il capo della sinagoga, indignato che Gesù avesse fatto una guarigione di sabato, disse alla folla: «Ci sono sei giorni nei quali si deve lavorare; venite dunque in quelli a farvi guarire, e non in giorno di sabato».
La lode a Dio, al Dio della vita e della guarigione, a chi interviene contro le forze del male e della malvagità, dovrebbe in fondo bastare a chiudere il racconto, con il coro di tutta l’assemblea.
Invece, il capo della sinagoga, persona ovviamente istruita nell’interpretazione della legge e sotto il cui controllo tutto si svolge nella sinagoga, si indigna! È una questione teologica, ma forse anche di potere. E interviene pubblicamente a far sentire la sua voce critica.
Però non attacca Gesù Cristo, che è Colui che guarendo avrebbe infranto il comandamento del giorno del riposo, ma si rivolge a tutti con una specie di nota di servizio: “ci sono sei giorni in cui farvi guarire venite in quelli”. Qualcosa del tipo “per i miracoli dalle 9 alle 17 dei giorni feriali… ” Sembra burocratico e un po’ lo è.
Forse dietro quelle parole c’è anche una specie di rimprovero alla donna: “hai aspettato 18 anni non potevi aspettare domani?” Come se una persona sofferente potesse attendere ancora un poco per la guarigione. C’è anche un po’ di ipocrisia nel non attaccare il gran maestro Gesù, che comunque guarisce.
Il problema è che effettivamente l’interpretazione di quel tempo, che il capo sinagoga cerca di mettere in pratica in modo zelante, era un po’ burocratica. Il comandamento del sabato era divenuto pieno di regole e applicazioni, per cui certi lavori, come evidentemente il guarire, non si potevano proprio fare. Il sabato, come giorno di riposo, come ricorda in altri passi proprio Gesù, è invece donato per la vita degli esseri umani per salvarsi dal dover continuamente lavorare senza tregua. È un giorno di vita, di liberazione e non un giorno di coercizioni.
Gesù però qui non si mette a fare teologia, con il rischio di imbarcarsi in una diatriba, che la folla riunita non possa comprendere. Gesù risponde non in astratto, ma mostrando come il comandamento del sabato nella sua interpretazione farisaica non fosse realistico, ed infatti venisse contraddetto da varie clausole aggiunte.
Ma il Signore gli rispose: «Ipocriti! Ciascuno di voi non scioglie, di sabato, il suo bue o il suo asino dalla mangiatoia per condurlo a bere? E questa, che è figlia di Abraamo, e che Satana aveva tenuto legata per ben diciotto anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?»
Quando ci si ferma alle “regolette” e non si coglie lo spirito del comandamento, si diviene ipocriti. Infatti, per non far morire di sete il bestiame, giustamente lo si poteva sciogliere e portarlo a bere oppure anche prendere l’acqua in un pozzo per dargliela. Quindi questo gesto di umanità, oltre che di convenienza, dovrebbe valere ancor di più nei riguardi di una persona.
Si noti che qui la donna è detta “figlia di Abramo”, cioè una persona del popolo di Israele a tutti gli effetti. Era un’epoca in cui le donne venivano escluse da alcuni comandamenti. Ed ella era nella sinagoga solo tollerata. L’affermazione è proprio provocatoria per alcuni di quelli che sono lì, e ribadisce che la benignità del Signore non è certo da limitare, ma anzi si espande.
Ed in più, non è che la benignità del Signore sia arrivata come una sorta di premio, no. Gesù dice: “doveva essere sciolta”. Il Signore impone di scioglierla, di guarirla. La signoria di Dio non ammette in sua presenza (e Gesù porta la presenza di Dio nel mondo) una qualche signoria del suo avversario, di Satana, del male o della malattia.
E tutto questo sembra proprio debba avvenire in giorno di sabato, cioè proprio nel giorno che sancisce la Signoria di Dio. E proprio di sabato, che è dono all’umanità di libertà, ha ancor più senso questa vittoria della vita sulla malattia.
C’è ancora di più nelle parole di Gesù Cristo. Egli dice che la donna era stata legata da Satana. E possiamo osservare che ciò vale in generale. La malattia è come un essere legati e quindi non liberi. È una situazione che non ti lascia pensare ad altro, che ti vincola la mente, oltre che il corpo. Che ti limita nei movimenti e nella speranza. Come le catene del condannato.
Anche le regole farisaiche, però, divenivano legami, coercizioni, anche modi di pensare che toglievano la libertà di cogliere l’essenza del volere di Dio. Non erano momenti di liberazione per gli esseri umani. Gesù Cristo, invece, interviene per liberare. Appena si accorge della donna non può far altro che slegarla. E con questo invita tutti a ragionare su cosa sia il bene, che certo i comandamenti indicano, ma non possono esaurire.
Abbiamo allora un annuncio di liberazione per noi, legati dai limiti umani e sociali, dalla malattia e dai pregiudizi, dalla morte e dall’ingiustizia, che anche limita e impone catene.
Le parole di Gesù vengono ascoltate, infatti:
Mentre diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, e la moltitudine si rallegrava di tutte le opere gloriose da lui compiute.
Mentre gli avversari si vergognano, perché riconoscono la pochezza e la miopia delle loro affermazioni, tutta la sinagoga si rallegra (in parallelo alla lettura precedente di Isaia: santificano il Nome del Signore e imparano l’istruzione). Gioiscono delle opere gloriose che compie Gesù Cristo, che sono gloriose in quanto opere di Dio, a cui solo va resa gloria. La migliore conclusione immaginabile perché non parla di una gioia che presto scompare, ma parla di speranza, che sostiene la vita.
E ritornando al capo sinagoga, adesso lo immaginiamo un po’ confuso, visto che anche un poco si vergogna. Egli sa bene tutti i regolamenti della comunità, tutti i dettami della religione e della Legge, eppure è finito fuori strada. Rimane aperta la domanda: cosa farà adesso?
e noi?
A volte anche la Chiesa cristiana è stata o è come il capo sinagoga. C’è tutta una serie di ragioni, di teologia, di regolamenti che funzionano bene, almeno così pare. “Si è sempre fatto così, perché cambiare?” Ed anche sappiamo che i regolamenti ci vogliono, non si possono abolire del tutto.
Però quando Gesù Cristo interviene e noi sappiamo che attraverso lo Spirito santo, anche oggi il Signore interviene, inizia qualcosa di nuovo. Sapremo riconoscere quando il nuovo di Dio inizia? E saremo fedeli anche nel tempo nuovo che ci prepariamo a vivere?
Inoltre, c’è un sottinteso nelle parole del capo sinagoga: “Domani sì, ma non oggi”. Ma se è il volere di Dio non si può rimandare a domani. Se domani potrebbe essere, lo deve essere già oggi. C’è un senso di urgenza perché Dio è contro la malattia e infermità. E oggi ogni cosa che possiamo fare va fatta.
Certo, penseremo, non sempre la malattia e l’ingiustizia sono vinte, ma il volere di Dio è che si sciolgano i legami con la morte, che si raddrizzi chi è incurvato dalla malattia o dagli anni, che si cambi il dolore in gioia, oggi e non domani. E quindi noi non dobbiamo arrenderci nè essere rassegnati, e ci dobbiamo muovere, sapendo della volontà salvifica e provvidente di Dio. A Lui solo sia la gloria, oggi e per sempre. Amen