Lottare ed essere benedetti

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Non una notte qualsiasi

Il testo di Genesi 32 parla di una notte di Giacobbe. E quella notte non è una notte qualsiasi. L’indomani, infatti, deve incontrare il fratello Esaù, infatti egli attraversando il fiume Iabboc entra nel suo territorio, nella terra che sarà quella di Israele.

Non è una notte qualsiasi perché adesso che ritorna dovrà affrontare quel fratello da cui era fuggito, per paura della sua ira, per aver ingannato il padre Isacco e per aver sottratto così la benedizione al fratello primogenito. È una di quelle notti in cui dopo aver fatto tutto quello che c’era da fare con cura meticolosa, si rimane in attesa con dubbi e ansietà. Una notte in cui a Giacobbe probabilmente ritornano in mente, come fossero presenti, le tante lotte che ha sostenuto in passato, i tanti contrasti.

Forse sarebbe stata una notte per una lotta con sé stesso, una notte insonne piena di ricordi negativi, con i suoi rimorsi e nel cercare una qualche scusante della sua furbizia. E anche piena di tensione per quello che sarebbe potuto succedere con Esaù l’indomani. No, non era notte da dormire, ma da restare soli, svegli, nel buio.

Ma quella notte qualcuno, un individuo misterioso, lo assale e lotta con lui. Allora non era veramente solo, c’era qualcuno in più oltre ai pensieri di Giacobbe. Qualcuno che combatte da forte con il pur forte patriarca.

Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino all’apparire dell’alba; quando quest’uomo vide che non poteva vincerlo, gli toccò la giuntura dell’anca, e la giuntura dell’anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava con lui. E l’uomo disse: «Lasciami andare, perché spunta l’alba». E Giacobbe: «Non ti lascerò andare prima che tu mi abbia benedetto!» L’altro gli disse: «Qual è il tuo nome?» Ed egli rispose: «Giacobbe». Quello disse: «Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, perché tu hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto». Giacobbe gli chiese: «Ti prego, svelami il tuo nome». Quello rispose: «Perché chiedi il mio nome?» E lo benedisse lì. Giacobbe chiamò quel luogo Peniel, perché disse: «Ho visto Dio faccia a faccia e la mia vita è stata risparmiata». Il sole si levò quando egli ebbe passato Peniel; e Giacobbe zoppicava dall’anca.

Genesi 32:24-31
Benedizione e nuovo nome

C’è allora un individuo, così dice letteralmente il testo, che è un messaggero del Signore, il Signore stesso che interviene, che ingaggia una lotta con Giacobbe.

Anche se, naturalmente interpretazioni se ne sono fatte tante, il racconto infatti è chiaro. Lo stesso Signore attraverso un suo emissario combatte con Giacobbe. Il Signore che ingaggia una lotta con Giacobbe in questo momento così particolare del suo ritorno a casa, in quella che potrebbe divenire la resa finale dei conti.

Infine nell’alba, l’individuo non solo non riesce a prevalere, ma sembra in difficoltà, tanto da chiedere di lasciarlo andare. È chiaro che il Signore potrebbe annientare Giacobbe, ma non lo fa, la lotta sembra calibrata per risparmiare il patriarca e farlo lottare tutta la notte.

A questo punto di colloca la risposta di Giacobbe: inaspettata e rivelatrice. Giacobbe chiede una benedizione. Non è solo che dinnazi al divino l’essere umano chieda protezione, benedizione, ma al centro dei pensieri di Giacobbe sta la benedizione, quella benedizione che aveva sottratto con l’inganno al padre, quella benedizione che pur annunciatagli dal Signore successivamente, sembrava che non lo riguardasse personalmente, che fosse passata a lui solo per inganno, ma non per chi egli fosse. Ed ora Giacobbe sarà benedetto personalmente.

Giacobbe, infatti, nella Genesi è prescelto per portare avanti la storia della salvezza. È chiaro che attraverso di lui si realizzerà la promessa di Dio fatta ad Abramo e Isacco. Ma non è una storia lineare, come aver ricevuto qualcosa che non fosse stata destinata a lui.

Prima infatti della benedizione gli viene dato un nuovo nome, che si affiancherà al primo. Prima della benedizione c’è l’imposizione di un nuovo nome, nell’idea antica come una nuova identità. Da quella notte nella lotta con il Signore Giacobbe ne esce trasformato, come indica anche il suo zoppicare.

Perché una lotta?

E il nuovo nome, cioè la sua nuova identità sono ottenute solo con la lotta con il Signore. C’è solo una lotta esteriore o anche una lotta interiore? Forse tutte e due. Questa lotta fa rielaborare a Giacobbe le lotte della sua vita? Rivisita i momenti cruciali in quella notte? Non lo sappiamo, il testo è sintetico. Quello che possiamo dire è che il Signore lotta infine a suo favore, per farlo crescere, Giacobbe matura, dal furbo egocentrico a quello che sarà il patriarca di un popolo nuovo che nasce, ora che entra nella sua terra, e che porta in avanti la promessa di Dio per l’umanità.

Perché c’è bisogno di una lotta? Forse perché Giacobbe come prescelto, non così perfetto, ha poca conoscenza di Dio. Deve imparare la forza del Signore, deve imparare una certa umiltà, avere timore dell’Eterno. Ma anche deve superare le sue ansie e sentire che il Signore non lo vuole annientare? In questa lotta il Signore lo rende migliore.

E il suo nome infatti diviene dunque da Giacobbe, un nome che significa “prendere per il tallone” dal modo in cui erano nati i due gemelli, ma che significa anche “ingannare”, “colui che imbroglia”, ad un nome che significa letteralmente “Dio regna”, ma forse anche “Colui che lotta con Dio”.

Si passa da Giacobbe: che conta tutto sulla sua astuzia e sulla sua capacità, ad Israele: che confida nella benedizione di un Signore, che non conosce del tutto, infatti non ne conosce il Nome, ma con il quale si confronta. Infatti, Giacobbe non ha ancora ottenuta la benedizione, che da temerario chiede di conoscere il nome del Signore, di conoscere in qualche modo la natura stessa di Dio. Forse per poterlo vincolare meglio ai suoi bisogni e ansie, forse un po’ magicamente, vuole assicurarsi l’assistenza completa di Dio? Non si capisce, ma è chiaro che il Signore è come se gli mostrasse un limite.

Però la benedizione adesso è proprio per Giacobbe, nella sua persona.

Lottare con il Signore

Quella lotta riguarda il patriarca, ma anche noi siamo ingaggiati nel corso della vita a lottare con il Signore.

Quante volte si lotta nella notte con dei pensieri, con dei problemi?

Quante volte si lotta, anche con Dio, se non fisicamente come Giacobbe, come combattimento interiore? Magari non vogliamo neanche ammetterlo, tanto è cosa privata. Ma stiamo lottando con il Signore, ad esempio, quando cerchiamo una spiegazione per una morte inspiegabile. Quando siamo arrabbiati con Dio e gli chiediamo il perché di tanti fatti disastrosi o che ci hanno portato via i nostri cari o pezzi della nostra vita. Non stiamo forse ingaggiando una lotta con il Signore che ha permesso o non è intervenuto nel trattenere le forze del male?

Oppure possiamo anche lottare con un testo biblico, che sembra così semplice, ma diviene difficile da applicare alla vita o con un messaggio di grazia che sembra troppo lontano dall’esperienza concreta.

Possiamo lottare con Dio anche per sapere se ciò che stiamo intraprendendo sia giusto oppure no alla luce della sua volontà. Alle volte chiediamo di essere illuminati, perché sembra che stiamo andando contro la volontà di Dio stesso. Si è in lotta con il mondo o con Dio stesso?

Alle volte stiamo lottando con Dio per carpirgli una risposta, un direzione per la nostra vita…o per sapere chi siamo veramente.

crescita e grazia

È un Signore il nostro, dunque, con il quale si combatte. Proprio in questo non è un idolo muto, non è un portafortuna, verso il quale scaricare le nostre ansie, che è lì senza potere. Ma è il Signore che ci raggiunge nella vita, ci ingaggia nella lotta, ci mette in crisi e ci fa pensare, ma anche crescere.

Confrontarsi con il Signore, con rispetto, il timor dell’Eterno, ma con quella libertà di esporre il nostro sentimento e punto di vista, è qualcosa che fa crescere la nostra identità. il nostro modo profondo di sentirci.

Noi ci definiamo attraverso gli anni e le scelte e le esperienze fatte, conosciamo cioè già il nostro nome. Ma il Signore non ci lascia poltrire in vecchie convinzioni e situazioni, ma invece interviene nella vita, e nella lotta ci costringe a riflettere su noi stessi ed infine fa maturare la nostra identità.

E portiamo anche i segni della lotta con il Signore, nel nostro intimo, come anche portiamo i segni della vita. Infatti, il Signore non ci annienta, ma invece infine ogni volta scopriamo che il Signore è il Signore della grazia e della benedizione. Il Signore infatti è Colui che si confronta con la nostra rabbia e i nostri errori e ci fa grazia, quella grazia che passa di generazione in generazione, da persona a persona, giunge fino a noi e noi l’annunciamo a chi viene dopo di noi.

Chi siamo dunque noi come cristiani? Siamo coloro che hanno ricevuto grazia. Siamo coloro che hanno ricevuto tante benedizioni dal Signore, e che capiscono tutto questo in mezzo alle lotte dell’esistenza, e quindi pur zoppicanti, pur non perfetti nella nostra risposta alla grazia del Signore, siamo coloro che testimoniano di confidare nel Dio vivente. Amen


Zusammenfassung der Predigt: Jakob ringt in der Nacht mit dem Herrn, und bei diesem Ringen geht es um den Patriarchen, aber manchmal sind auch wir im Laufe unseres Lebens damit beschäftigt, mit dem Herrn zu ringen. Mit unserem Herrn können wir ringen, und gerade deshalb ist er kein dummes Idol oder ein Glücksbringer. Im Kampf fordert uns der Herr heraus und bringt uns zum Nachdenken und lässt uns schließlich wachsen, um ihn als den Herrn der Gnade zu entdecken.


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