Nella lettera ai Romani in cui si annuncia con ampia esposizione la salvezza per sola grazia, si arriva con il capitolo 12 al presentare la realtà dell’evangelo nelle sue conseguenze pratiche.
Potrebbe questo esser visto come la risposta ad una domanda implicita: “Visto che Gesù Cristo ha fatto tutto per la nostra salvezza, cosa possiamo fare noi come cristiani?” Infatti, non serve più fare sacrifici e nemmeno fare un culto per ottenere salvezza. Tutta la religiosità umana precedente, quel dare per avere, quei sacrifici, quella mentalità, vengono dunque aboliti.
L’apostolo allora riprende quei termini, sacrificio e culto, per mostrarne la trasformazione radicale.
Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.
Romani 12:1-2
Il non sacrificio
Sia in ambito ebraico sia pagano, come dicevo, era fondamentale la nozione di sacrificio. Però il sacrificio, nella visione della grazia di Dio, non può esistere come mezzo per avere da Dio qualcosa, proprio perché Dio ha donato in Gesù Cristo una volta per tutte gratuitamente la salvezza.
E c’è da dire che non vale neanche la versione di certa religiosità cristiana: un fioretto, un voto, perché appunto si darebbe valore a qualcosa di umano e non solo a Gesù Cristo.
Per l’apostolo Paolo allora c’è una trasformazione profonda dell’idea di culto, non si tratta di donare qualcosa che ci appartiene, ma di presentare tutto noi stessi, il nostro vivere, le nostre energie e speranze a quel Signore che ci ha salvati, in una vita di riconoscenza. Infatti, questo presentarsi a Dio non è affatto in vista della salvezza, ma una conseguenza di questa, la gratitudine, il ringraziamento per la propria salvezza.
Per non farci ricadere in una logica antica e triste.
La fine della separazione fra sacro e profano
In questo modo, essendo la religiosità umana, sia pagana sia ebraica, superata, cade anche la separazione fra culto e vita ordinaria. Non esiste più la visione della vita composta da sacro e profano, vita secolare e vita religiosa.
Infatti, professare la fede, rendere culto a Dio, diviene vita concreta, quotidiana e non legata solo al momento di culto, che divine momento di incontro e riflessione comunitaria e non come ultimo annuncio della Parola di Dio, ma non un tempo altro rispetto al quotidiano.
Cioè, se culto e vita si identificano per i cristiani, in quanto il culto è un vivere rinnovati, non c’è l’idea di una “sospensione” del tempo che spesso c’era nell’antichità. Si è sempre in un tempo straordinario perché collegati al Signore e si è sempre in azione per il Signore.
Non c’è quindi neanche un ritirarsi dal mondo, come in certe visioni mistiche e monastiche. E neanche c’è più la divisione fra laici e sacerdoti. Come cerco di spiegare, a volte senza troppo successo, quando parlo del mio lavoro.
È chiaro, detto fra parentesi, che quando la Riforma ripropose –con nettezza– questi aspetti del Nuovo Testamento, iniziò la guerra.
Culto spirituale
Questo vivere presentandosi a Dio, dice l’apostolo, è il culto che dobbiamo avere. Culto a seconda delle traduzioni: razionale o spirituale o logico. Infatti, in greco abbiamo logos, da cui in italiano abbiamo anche logico, ciò conseguente in questo caso a quanto fatto da Gesù Cristo. Ed anche razionale, in quanto il termine era utilizzato nella filosofia contrapposto al sacrificio animale (il sacrificio che qui è anche detto vivente perché non ci sono animali uccisi). Infine, spirituale cioè secondo lo Spirito, perché spesso il logos della filosofia veniva dai credenti identificato con lo Spirito santo.
Forse vanno bene tutte le tre traduzioni, il significato è chiaro, questo è il vero culto, il culto realmente dovuto al Signore che ha già fatto ogni cosa per il nostro bene e la nostra salvezza.
Trasformazione
Però non è che automaticamente e senza alcun cambiamento si trasforma la vita ordinaria, quella che si è sempre fatta, in un culto spirituale. Ovviamente no, c’è da seguire la volontà divina in questo mondo, c’è bisogno di una trasformazione e in che modo?
Ecco allora che l’apostolo scrive il secondo versetto di quelli letti. Lì, abbiamo che la trasformazione (in greco abbiamo metamorfosi, ma si potrebbe tradurre anche con trasfigurazione), secondo l’apostolo può solo avvenire mediante il rinnovamento della mente.
Ciò è significativo. Il primato è dato dalla capacità di interpretare e giudicare come si deve vivere in questo mondo.
Chiaramente Gesù Cristo come Signore implica, che non bisogna conformarsi al mondo, ma al messaggio di Cristo. Ma non c’è da ritirarsi dal mondo, ma invece reinterpretarne i valori, le dinamiche e ciò è certo difficile, per vivere quotidianamente come già cittadini del Regno di Dio.
La lettera poi prosegue con delle indicazioni pratiche che aiutino in questo senso di rinnovamento della mente: avendo un concetto sobrio si sé (è lo Spirito che fa e noi siamo stati salvati) e la grande varietà di doni, e quindi di differenze fra i cristiani, che però collaborano, anche per via della sobrietà, come un organismo, un tutto che ha gioia e semplicità e diligenza…
Ma fate attenzione al conoscere per esperienza. C’è anche bisogno di verifiche, di esperienze per capire quale sia la via del Signore. Vivere infatti non è teoria, ma pratica che produce esperienza. Non solo non dobbiamo essere ideologici, ma valutare i risultati delle nostre azioni.
C’è dunque da rimanere aperti e attenti a ciò che lo Spirito ci dice attraverso le varie cose che succedono. Questo culto spirituale è anche infatti vivere aperti e guidati dallo Spirito, pronti ad esserne rinnovati.
In effetti, è ovviamente difficile vivere non conformandosi a questo mondo, però anche in questo vivere non siamo lasciati soli dal Signore, che di nuovo ci aiuta con il suo Spirito. Quindi abbiamo fiducia, pur conoscendo le tante difficoltà e insidie del mondo, di poter compiere la nostra corsa cristiana.
Buona, gradita e perfetta
Tutto il paragrafo è un’esortazione per la misericordia di Dio. È proprio perché Dio ci ama “visceralmente” che ci indica di vivere non conformati al mondo, ma rinnovati. Per conoscere infine la buona, gradita e perfetta volontà di Dio per noi.
La volontà di Dio è infatti per il nostro buon vivere, per condurre un’esistenza felice e autentica.
Ancora una volta allora questo culto spirituale non è qualcosa per il Signore, ma per noi, un modo di vivere che il Signore ci indica per il nostro vantaggio.
È di nuovo un dono che Egli ci fa misericordiosamente.
È per questo che vivere cristianamente è meraviglioso. Amen