Conoscere i nostri limiti

Il libro dei proverbi raduna in massime la sapienza antica. Come qualcuno con esperienza che parla di ciò che ha sperimentato, i proverbi parlano sempre di questioni di vita reale, ed anche se non sempre nominano il Signore è chiaro che meditano sentendo di essere sotto lo sguardo di Dio, in quanto “il timore del Signore è il principio della scienza”.

Essendo la vita creata da Dio, non ci sono aspetti banali nel vivere e non si deve essere superficiali, perché l’esistenza è complessa e profonda, tanto da riuscire alle volte misteriosa, dunque bisogna andare avanti alla luce della Parola del Signore.

Ogni parola di Dio è affinata con il fuoco. Egli è uno scudo per chi confida in lui.

Non aggiungere nulla alle sue parole, perché egli non ti rimproveri e tu sia trovato bugiardo.

Io ti ho chiesto due cose; non me le rifiutare, prima che io muoia: allontana da me vanità e parola bugiarda; non darmi né povertà né ricchezze, cibami del pane che mi è necessario, perché io, una volta sazio, non ti rinneghi e dica: «Chi è il Signore?» oppure, diventato povero, non rubi e profani il nome del mio Dio.

Proverbi 30:5-9

La Parola

La Parola del Signore che giunge fino a noi, è condensata, raffinata, c’è tutto ciò che occorre per vivere, è lampada al nostro piede.

Guardiamo, ad esempio, agli evangeli, non ci sono descrizioni inutili, c’è l’annuncio della buona novella, essi rendono testimonianza della Parola del Signore che si è incarnata, al pane della vita, tutto vi è finalizzato a trasmetterci quella vita, a fare in modo che nelle complessità e a volte nelle assurdità dell’esistenza, ci sia una guida e una speranza.

Dunque, non vi aggiungere altre cose, dice il saggio.

Non è certamente il divieto di interpretare, perché interpretare è un applicare la Parola alla propria situazione, perché riflettere, interpretare, ruminare la Parola, come diceva un antico, è un farla propria, un sentirla preziosa per sé stessi.

Dunque, in un certo senso si deve interpretare. Ma l’interpretazione e la Parola devono rimanere ben separate e individuabili, altro è l’aggiungere.

Aggiungere è uno dei modi, raffinato e maligno, per far dire qualcosa ad un testo senza formalmente alterarlo. È far assurgere la propria interpretazione a norma e a guida.

Nella Riforma questo era il principio detto del Sola Scriptura, si deve ritornare in maniera ciclica e sempre rivelatrice al solo testo biblico per investigarne il messaggio, senza considerare vincolanti le interpretazioni datene nel tempo, ma anzi giudicandole in base alla Scrittura stessa.

È consapevolezza che in ogni tempo anche non volendolo la interpretiamo, cosicché in ogni situazione nuova o vecchia che siamo, occorre riprendere la responsabilità di rileggere e reinterpretare il messaggio come aderente alla nostra vita.

Non è questo solo un aspetto per così dire “tecnico” della teologia. Come alle volte il vecchio saggio sembra lontano dal frenetico mondo moderno, alle volte anche la teologia sembra vetusta, ma è solo che cerca gli aspetti fondamentali e non solo effimeri del vivere. Così questo principio di non aggiungere, ma invece di ritornare ogni volta dal Signore, è anche un principio guida per la saggezza umana, saggezza umana che si riconosce limitata.

Limiti

Dobbiamo riconoscere i nostri limiti, anche nella filosofia e nella saggezza, sempre si deve ritornare alla base del messaggio del Signore, perché le nostre interpretazioni, le nostre attualizzazioni, le nostre grandi scoperte sono collegate strettamente al nostro tempo e alla nostra società. Le situazioni, le mentalità, la cultura come la politica, hanno un forte influsso, sono determinanti su come noi elaboriamo le indicazioni del Signore, e dunque le nostre parole hanno un valore transitorio rispetto all’eternità della Parola del Signore.

In ogni aspetto della sapienza (o saggezza se volete il termine nella versione meno teorica e più pratica) la questione del limite, dei propri limiti è centrale. Non solo conoscere i propri limiti individuali, ma anche conoscere i limiti umani in generale, anche riguardo all’intelletto.

E se per i filosofi pagani, questi limiti erano una specie di via di mezzo rispetto agli estremi dell’umanità. Per la saggezza del credente sono limiti assoluti, che hanno a che fare con l’Assoluto, un limite di comprensione e di azione e di volontà rispetto al Signore come Creatore e come Salvatore.

E mentre nella prima parte del testo il limite è se vogliamo teorico, e quello del voler aggiungere qualcosa alla Parola del Signore è una maniera in certo modo astratta per essere tentati, nel paragrafo successivo ci sono tentazioni più pratiche, che danno il limite della nostra volontà.

E questo non può allora che essere richiesto con una preghiera. Umile e sincera. Infatti, la richiesta di essere fedele, grazie al non avere troppo o non aver troppo poco, è del tutto consapevole dei nostri limiti umani, anche riguardo alla fede e all’etica.

Penuria

La povertà, come motivo per rubare, c’è da dire che non è affatto qualcosa di automatico.

Possiamo osservare persone nate nello stesso ambiente o sottoposti alle stesse privazioni che hanno reagito differentemente. Chi con il crimine, ma anche chi con il sudore e la fatica e la rettitudine.

Come al contrario possiamo anche dire che ci sono persone che non rubano, solo perché sono ricche e senza problemi. Anzi alle volte persone realmente ricche escogitano modi nuovi di sottrazione e speculazione ai danni degli altri.

Rubare o non rubare in una situazione di penuria, dipende dall’idea del poter attraverso il furto risolvere una situazione penosa. Ovviamente il discorso di Gesù sulle sollecitudini ansiose, come anche quel cercare il pane che non perisce ci guidano nel ricordare che non è il pane la cosa più importante, ma lo è la Parola di Dio.

Eppure, chi affermasse con sicumera che certamente sarebbe disposto alla fame pur di non trasgredire il comandamento del Signore, mostrerebbe solo superbia. La vita alle volte dura, le occasioni ci fanno “cadere” spesso… Ed alle volte si dice è “solo una piccola trasgressione”. Ma il saggio sa che non è mai solo questione di quel piccolo aggiustamento, ma che si rischia di profanare il nome di Dio, non si è soli ma si è sempre dinnanzi al Signore.

Ecco perché con umiltà e realismo, senza infantilismi, il saggio prega il Signore di non esporlo alla tentazione, come anche Gesù ci ha insegnato a pregare.

Abbondanza

Ma d’altronde anche la troppa abbondanza, la ricchezza, il successo, la vittoria possono spingere alla superbia, al “mi sono fatto tutto da me”, al disconoscere la necessità dell’aiuto di Dio in ogni cosa e quindi al far dimenticare la piena lode al Signore.

Molte persone anziane mi hanno detto che non c’erano più tante persone in chiesa, perché “girano troppi soldi”. “È il benessere” dicevano. Se c’è troppo non c’è né la lode per quel poco che si è ottenuto, né la preghiera di aiuto. Ci si crede invincibili.

Fa proprio male a dirlo, a me induce spesso un senso di frustrazione, ma spesso è solo nella distretta che le persone si ricordano di Dio. A volte per insultarlo a volte più che per pregarlo. E molto spesso se Dio sembra non rispondere alla loro preghiera si allontanano e dicono: “non prego più perché in quell’occasione non mi ha esaudito”. Non si vive di solo pane e la vita terrena non è per sempre e la giustizia appartiene al Signore. Cosa dire in certi casi. Come indirizzare al pane della vita chi non sa alle volte neanche come si prega? Sono questi nei nostri paesi i tempi in cui è rara la Parola di Dio?

Tolleranza

Il saggio non si crede immune da ogni errore, anzi conoscendo l’animo umano e avendo visto tanti esempi e controesempi di vita, sa di essere come gli altri tentato e alle volte avventato.

Sapendo della profondità dell’esistenza umana e a volte dei suoi misteri, prega. Prega per avere la grazia di non essere fuorviato.

E ricorda che è per grazia che siamo stati salvati, e ciò è dono di Dio in Cristo Gesù, che anche ci mantiene salvi da svariati errori. Per questo il saggio pensa al proprio prossimo con maggiore tolleranza.

Il timore del Signore è il principio della sapienza si ripete nei proverbi. Ed è vero anche nel senso di conoscere noi stessi e i nostri limiti e dunque l’importanza della misericordia del Signore. E questo ci dà un nuovo senso del vivere, non superficiale, ma profondo, spirituale. Con maggiore resistenza e anche con maggiore comprensione verso il prossimo.

E allora con amore per il prossimo potremo annunciare. Spesso infatti non serve ribadire ad una persona gli errori che ha fatto, e non basta indicare una regola giusta ma astratta, in questo mondo complesso e corrotto, c’è invece da annunciare nuovamente la Parola di Dio senza aggiungere niente ed indicare che Gesù Cristo è la via, la verità e la vita. Amen


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