Pan di vita

Gesù usa spesso immagini del mondo contadino del suo tempo. E si dice con ragione che usi quelle immagini per farsi capire meglio, non con astrazioni, ma con qualcosa alla portata di tutti.

C’è però un altro aspetto. Le immagini del cosiddetto settore primario parlano delle cose indispensabili alla vita, senza le quali non c’è il resto. Gesù infatti è fondamentale per la nostra vita.

Dopo la moltiplicazione dei pani da parte di Gesù per sfamare la folla che era rimasta ad ascoltarlo per molto tempo, molti di quella folla lo cercano. Gesù allora gli dice di preoccuparsi non di quel pane che gli ha dato, ma del pane che viene da Dio. La folla non capisce e allora:

Gesù disse: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà mai più sete.

Giovanni 6:35

La folla non aveva ancora capito il linguaggio metaforico di Gesù. Il dono di pane che sfama per l’eternità è proprio Gesù Cristo, cioè l’incontrare il Salvatore, il credere in Lui, l’affidarsi a Lui come Signore.

Sì, ogni essere umano cerca la vita: la fonte della vita, la pienezza della vita, la realizzazione della vita ed infine spera che la vita sia senza fine… E Gesù annuncia a tutti di essere il pane della vita, cioè Colui che toglie la fame e la sete di vita per sempre, Colui che dà una vita vera e autentica che dura per sempre.

Affermazione

La vera vita, infatti, dipende dall’incontro con Gesù.

È questa un’affermazione. Non una dimostrazione. Come sempre nella fede, c’è qualcosa che non si può dimostrare. Certamente però noi cristiani possiamo portare con amore verso il prossimo quest’annuncio e fornire la testimonianza di come la fede in Gesù modifichi profondamente l’esistenza. Ed invitare quindi a “provare” Gesù.

Ci sarà, però, sempre qualcuno della folla che se ne va deluso: “meglio un pezzetto di pane subito!

La gente nel nostro tempo, nei nostri paesi, dove pure c’è abbondanza, alle volte sembra solo pensare che il pane, il mangiare, il benessere, un’egoistica soddisfazione contino più di tutto il resto. Magari nel momento della malattia o della sconfitta si volgono al cielo, ma credere in Gesù non offre sempre una protezione dalla malattia e non fa guadagnare di più, anzi, se si è rigorosi si guadagnerà spesso di meno.

Qualcuno dice: “No, la fede a me non serve”, come se anche Dio fosse da misurarsi con un criterio economico di vantaggi e benefici, di costi e di ricavi. Ma, invece serve avere una pienezza di vita spirituale. Infatti, vediamo come siamo spesso noi e i nostri contemporanei: anime inquiete, mai soddisfatte e sempre in ricerca di qualcosa. Scambiamo questa nostra inquietudine per fame e sete di cibo o di bevanda, per necessità di esperienze diverse e magari estreme, e anneghiamo la nostra inquietudine nell’acquisto e nel consumo, nel rinnovare l’automobile o la casa o il coniuge.

Ecco a questa inquietudine, che nasconde la fame e la sete di sapere chi siamo, sul che ne sarà di noi, quale sia la nostra vocazione, per cosa siamo stati creati, risponde Gesù. Anzi, il Cristo è proprio venuto su questo mondo per questo: per mostrarci la nostra vita con Dio. Gesù Cristo vuole che siamo veramente e realmente noi, che scopriamo la profondità della nostra vita, che riceviamo quella vita eterna, che è vera vita oggi e per sempre.

Realizzarsi

C’è da intendersi su cosa sia vera vita, pienezza della vita. Al giorno d’oggi ad esempio si usa il termine: realizzarsi. Realizzare le proprie potenzialità e vivere con soddisfazione la propria esistenza.

Realizzarsi è certo un termine che possiamo anche utilizzare cristianamente: realizzare le vocazioni, le occasioni e i doni che il Creatore ci offre. Divenire, sia pure in parte, la persona che il Creatore ha pensato potessi essere.

Ma non sempre realizzarsi viene usato in senso cristiano, è spesso un termine legato ad una sorta di egoismo, mi realizzo abbandonando le mie responsabilità, agendo senza scrupoli: “adesso penso per me, non per gli altri”.

L’incontro con Gesù, come mio Salvatore e mio Signore realizza invece la mia vita, indirizzandomi verso l’amore fraterno. Le vocazioni, i doni, le opportunità che ricevo sono infatti sempre comunitarie. La realizzazione non è star bene nella solitudine sulla vetta di un monte o sulla vetta di un grattacielo nell’ufficio da gran capo aziendale, che non guarda in faccia nessuno. Potremo dire che solo la realizzazione personale all’interno del tessuto comunitario è la vera realizzazione della potenzialità umana.

Però, mi capita di pensare che dietro a queste nobili e cristiane parole ci sia una specie di moralismo: “il dovere di fare” e un criterio del mondo: “vali solo se realizzi qualcosa per gli altri”.

Ricevere

Fare per il prossimo, condividere i propri doni, certo va bene, ma il realizzarsi è legato prima di tutto al ricevere. Ciò che sarà importante per essere realizzati è legato al conoscere finalmente il nostro valore.

Perché se fossi frutto del caso, valuterei il mio valore da ciò che so fare e faccio, e sarei sempre in bilico e una mancanza mi trascinerebbe giù, e la mia vita non avrebbe più senso se non riuscissi a fare questo o quell’altro.

Se invece sono voluto, scelto, creato e infine anche salvato dal Signore, la mia dignità e il mio valore sono dati, anche se sbaglio continuamente. Il realizzarsi non è più legato come nel mondo all’avere successo, al vincere, ma al vivere con il Signore ricevendo la sua grazia.

Ecco la realizzazione in una visione mondana di sé stessi è riuscire a costruire e fare qualcosa di ottimo. La realizzazione cristiana è scoprire il proprio cammino, il motivo per cui siamo su questa terra e percorrere il proprio sentiero nella consapevolezza che sono in un viaggio in cui sono curato e sfamato dal mio Salvatore. E salvato dall’errore e realizzato, nonostante alle volte fallisca miseramente.

Con il dono del pane della vita, che giunge per felice e irresistibile grazia dal mio Salvatore Gesù Cristo, avrò vita eterna. E questo farà nuova e vera la nostra esistenza, fosse anche l’ultimo giorno che abbiamo da vivere. Amen


Pubblicato

in

da

Tag: