La lettera ai Filippesi viene scritta da Paolo nella prigionia. In un momento in cui c’è la possibilità del martirio. Non sa se presto finirà la sua vita, né cosa gli accadrà. Non solo, sa anche che la sua opera, il lavoro di tutta una vita, è umanamente fragile. Ci sono dei lati positivi è vero, ma anche delle possibili defezioni e predicatori che parlano in modo molto differente da Paolo. E i cristiani della città di Filippi a cui scrive sono anch’essi nella persecuzione.
Eppure la lettera sembra dire: “Io gioisco! Gioite anche voi”. Non è affatto una gioia personale o momentanea la sua, ma una gioia che sta nel fondamento della sua vita di fede e che va comunicata agli altri. L’idea di una comunione nella gioia è presente nella lettera e così verso la fine della lettera l’apostolo la riprende dicendo:
Filippesi 4:4-7 Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi.
La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino.
Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti.
E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.
il Signore è vicino
Può darsi che l’annuncio della vicinanza del Signore fosse legato a quei tempi all’idea di un prossimo ritorno del Signore, ma la vicinanza del Signore è comunque attraverso il suo Spirito. Qualcosa certo che sfugge alla razionalità, ma che molti hanno avvertito in alcune situazioni e che si può anche “vedere” quando a ritroso si considerano fatti successi nella propria vita.
Il Natale rende speciale la vicinanza del Signore Gesù Cristo, infatti, il fatto storico che il Cristo sia venuto nel mondo a condividere la nostra realtà umana dal di dentro, ad essere presente nella storia umana è ciò che fa la vera differenza.
Sia perché la sua vicinanza non è stata astratta, ma è stata effettiva, in questa nostra storia. Sia perché -anche se adesso è presente attraverso lo Spirito santo- Gesù proprio per averla sperimentata conosce la nostra natura umana, i nostri sentimenti e le nostre paure.
appello alla fede
Rallegratevi dice l’apostolo e poi lo ripete anche, per sottolinearne tutta l’importanza.
Questo imperativo del rallegrarsi, è possibile perché non si tratta solo di un sentimento, di come uno si sente, ma è un appello alla fede dei cristiani. Proprio perché sappiamo che le sorti del mondo e della nostra vita sono nelle salde mani di Gesù Cristo, che dopo la croce è stato innalzato al di sopra di ogni potenza e di ogni cosa dell’universo, noi non possiamo che rallegrarci.
Sapendo che le cose negative, brutte, orribili che ci sono nel mondo sono già vinte da Gesù Cristo e sono in via di sparizione. Che non avranno l’ultima parola. È dunque un appello alla fede in Gesù Cristo come effettivo Signore di ogni cosa.
È un imperativo, un ordine, dunque che vuole essere anche un modo diverso di affrontare la vita.
Si consideri che qui dove è scritto di avere “mansuetudine”, si potrebbe meglio tradurre con “amabilità”. Dunque il rallegrarsi è anche una predisposizione verso gli altri. Non vedere sempre gli aspetti negativi, che spesso non sono essenziali della vita e dell’altro, ma gioire con lui dei doni del Signore.
Non vedere sempre quello che manca, fosse anche la salute, ma un gioire e rallegrasi della salvezza donataci da Dio e della sua presenza benigna.
Ed il modo per sentire la vicinanza del Signore è innanzitutto attraverso la preghiera.
E quella vicinanza del Signore Gesù, attraverso l’ascolto, la preghiera, l’affidarsi a lui dà gioia e pace. Una pace che supera ogni nostra previsione e ogni nostra umana speranza, una pace che è una forza e una serenità dinnanzi alle difficoltà della vita.
una lotta
Questa pace ci viene detto ci custodirà. Anzi custodirà i nostri cuori, il nostro io più profondo. Questo “custodire” è in realtà un termine militare, il custodire delle guardie, del campo fortificato. Non deve stupire che in Paolo ci siano spesso dei termini dalla vita militare, vista come era militarizzata la società d’allora, ma mi sembra che qui ci sia di più.
Questo rallegrasi, questo vivere della fede in Gesù Cristo, è una lotta, una lotta nella prigionia, in mezzo alla persecuzione, in mezzo alle divisioni e agli scoraggiamenti… e questo lottare il cristiano lo conduce non con le armi vere e proprie (anche se purtroppo alle volte i cristiani lo hanno fatto), ma come dice un vecchio inno: “con l’armi ch’ei ci dà: con la fede, la speranza la viva carità”.
Ebbene qui però la lotta del cristiano è condotta in particolare con il rallegrarsi e l’amabilità, con la serenità nel mondo inquieto e con la preghiera.
Rallegrarsi, certo non in modo beffardo, con sarcasmo, rallegrasi con mansuetudine, sempre amabili, con una gioia che vuole essere contagiosa come quella dell’apostolo verso i suoi lettori d’allora e d’oggi.
Pensate infatti a quanto può essere contagiosa la gioia, l’allegria e pensate come è positivo l’impatto del cristiano che non fa l’elenco delle cose che non vanno, non si abbandona a lamentele ad alta voce, ma invece loda il Signore, ha il cuore allegro anche se passa momenti di ristrettezze, vede il prossimo come un occasione di incontro e di scoperta, pensa al futuro con la voglia di fare e non con rassegnazione…
Certo sembra a volte troppo difficile e impossibile, ma l’apostolo ce lo ordina. Rallegriamoci dunque e sperimentiamo la gioia e la pace di Dio che supera ogni nostro pensiero negativo, che ci custodisce e ci dà coraggio in ogni tempo. Amen