Guardando indietro

Negli anni ottanta non sembrava proprio possibile che l’apartheid potesse aver fine. E addirittura in maniera sostanzialmente pacifica.

I tanti discorsi celebrativi seguiti alla morte di Nelson Mandela, non so quanto hanno fatto capire, ai più giovani o a quelli che erano allora disinteressati, la dimensione sorprendente di ciò che è successo in Sudafrica sul finire del secolo.

E tutto questo è stato il risultato dell’azione politica in primo luogo del presidente Mandela, anche attraverso l’istituzione della “Commissione per la verità e la riconciliazione”. Infatti il grande capolavoro di Mandela non è stato resistere nella prigione e non venire meno alla lotta contro l’apartheid, ma una volta vinto il cercare con determinazione la riconciliazione attraverso un atteggiamento di perdono per ciò che era stato. Questo per fare del Sudafrica un unico grande paese, casa comune di tutti i suoi cittadini.

Viste le molte personalità religiose e anche il fatto che Mandela era di origine metodista si potrebbe riflettere sulla categoria del perdono nell’azione politica. Ma non vorrei essere astratto e con qualche ricordo vorrei dire come ho vissuto il clima di quei tempi, per inserire una riflessione.

Dopo che nel 1982 un paio di chiese riformate sudafricane di origine olandese erano state escluse dall’Alleanza riformata mondiale per il loro sostegno, teologico e pratico, all’apartheid. Nella chiesa valdese, che faceva e fa parte di quella Alleanza di cui fanno parte tutte le chiese di origine riformata, si rifletteva su quel tema. Infatti l’Alleanza non aveva solo discusso il tema, ma aveva posto lo status confessionis, cioè aveva stabilito che pensare di discriminare una persona in base all’annuncio cristiano, era disconoscere l’evangelo stesso, predicare un altro evangelo.

Fu così che c’erano state varie iniziative. Mi ricordo ad esempio quando ad Agape, centro giovanile nelle valli valdesi, per il congresso della Federazione giovanile evangelica italiana, era stato invitato il rappresentante dell’ANC, African National Congress, in Italia. Il suo racconto di quello che voleva dire concretamente l’apartheid e delle stragi di Soweto di pochi anni prima compiute sulla folla che manifestava dalle forze dell’ordine, era davvero impressionante. Un grido di un profeta contro l’ingiustizia.

Fu così che al ritorno a Roma in due decidemmo di chiedere alla cassiera della chiesa come mai continuavano a tenere i soldi in una delle banche italiane che non boicottavano il Sudafrica. “Mah, a noi ci fanno un buon tasso” fu la laconica risposta. Lo sguardo era fra il duro e il perso. O forse ci compativa, pensava forse: “Chissà che credono di fare”.

Eppure, nonostante vari politici si affrettassero a dire che le politiche di embargo avrebbero pesato anche su tutta la popolazione, quell’embargo e il boicottaggio, ce lo chiedeva a gran voce proprio l’ANC. Era proprio quelli che soffrivano a chiederlo per sentire la solidarietà e per avere degli alleati impegnati. Infatti proprio le sanzioni si riveleranno determinanti per il cambiamento della situazione. Così smentendo fra le varie cose che si sentivano dire, che l’embargo internazionale non avrebbe portato ad alcun cambiamento.

E sanzione internazionale era stata anche la “scomunica” delle chiese che sostenevano l’apartheid da parte di tutte le altre chiese riformate del mondo. Ed anche questa iniziativa avrebbe dopo poco prodotto un effetto di conversione.

Ecco l’idea che non sarebbe cambiato niente era la scusa per continuare nonostante la situazione a commerciare con un regime del genere, ma non solo. Era anche una profonda convinzione di molti che magari sarebbero stati volenterosi. “Tanto niente cambierà” è qualcosa che ti distrugge fin dentro l’animo e ti toglie il coraggio di lottare. È quello a cui non si è arreso Mandela nei 27 anni di carcere, ma purtroppo non sempre è così, per anziani e per giovani.

Ricordo anche che tempo dopo le chiese evangeliche romane organizzarono un presidio dinnanzi all’ambasciata sudafricana. Nell’aiuola spartitraffico, abbastanza grande da contene qualche decina di persone, con striscione e bandiere, per qualche tempo c’è stato così un presidio di pochi evangelici.

Nulla da segnalare, tranne che ad un certo punto si sono mosse le tende di una finestra dell’ambasciata e si è vista una persona, un bianco con camicia bianca e cravatta con i capelli color stoppa, che ci scattava alcune foto.

Chissà a che servivano, ad identificarci in caso fossimo voluti andare in Sudafrica? Non penso proprio, era più una documentazione che faceva vedere i classici quattro gatti che stavano lì a migliaia di chilometri a manifestare.

Qualcosa di inutile avranno pensato molti. Eppure poi tutto è cambiato. Non per merito nostro, sono stati i sudafricani ed anche le sanzioni. Ma le nostre proteste erano un segnale che diceva non arrendetevi e erano il ribadire la fiducia nel cambiamento.

Adesso guarda davanti a te. Cosa vedi? Problemi, crisi, situazioni che non cambiano da tempo? Immagina però che anche un tempo sembrava impossibile che l’apartheid finisse, come erano sembrato impossibile la fine di tante situazioni violente e brutali e bloccanti e bloccate.

Come cristiani crediamo in Colui che è venuto a cambiare la storia umana, ma che è anche il padrone del futuro. Per questo non solo non ci arrendiamo, ma attendiamo con gioia il domani.


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