Alcune osservazioni su Costantino, la sua epoca e le conseguenze della svolta costantiniana. (da una conferenza a Sondrio del 22 novembre 2013).

Senso dello Stato

Quando parliamo di imperatori romani abbiamo spesso negli occhi immagini di film di tipo semi mitologico oppure licenziosi. Se consideriamo imperatori come Aureliano, come Diocleziano gran persecutore dei cristiani, lo stesso Costantino, ma anche Giuliano l’apostata, ci troviamo dinnanzi a persone che avevano un senso dello Stato e aggiungerei dell’onore. È vero che nella lotta per il potere non risparmiavano se era necessario neanche i parenti stretti, ma giunti al potere si davano da fare per far funzionare lo Stato, per riorganizzare l’Impero, morivano combattendo accanto alle loro truppe.

Permettetemi allora una battuta. Diocleziano il gran persecutore aveva più senso dello Stato dei politici italiani attuali.

A parte le battute questo ci permette di inquadrare anche l’azione di Costantino all’interno di un’azione di governo e non solo come un atteggiamento di politicante. In questo è anche sia pure con le oscillazioni tipiche di quell’epoca il successo della sua azione politica, che ridarà bene o male (fino al 476 fine dell’Impero d’Occidente e molto più in là per l’Oriente) forza all’Impero romano.

Religio e superstitio

Sia negli antichi regni pagani, sia nell’antico Israele la divinità, o almeno la divinità principale, è collegata al popolo, alla nazione o alla città.

In questo senso la dea Roma, gli dei protettori dell’Impero a cui Decio chiese di onorare tutta la popolazione e che furono causa di persecuzione indiretta dei cristiani, erano coloro che assicuravano stabilità e prosperità e vittoria allo Stato. In questo senso il pontefice massimo era una delle magistrature romane, attraverso cui lo Stato si assicurava che il culto agli dei cittadini fosse eseguito correttamente.

Questo legame con gli dei locali della popolazione era stretto nelle città-stato greche e nella Roma Repubblicana, nel senso che dalla vittoria e prosperità dello Stato veniva direttamente la prosperità del singolo individuo e della popolazione, anche se esistevano degli dei familiari cui ci si rivolgeva per l’aspetto di salvezza più personale.

Dunque i romani facevano una distinzione fra la religio, che era la religione dello Stato e la superstitio che era la religione di divinità o esseri umani divinizzati personali o familiari.

Il paganesimo rendeva non solo possibile questa co-presenza, ma anche come sappiamo l’identificazione e l’assimilazione di divinità straniere.

Nel quadro dell’Impero, una società globalizzata, più della nostra per certi versi, estesa a popolazioni diverse con un territorio vasto, sempre di più il legamene con la religio divenne labile, istituzionalizzato ed infine non vitale per gli esseri umani presi dalle paure di epoche sempre più instabili.

Sempre più si diffusero da una parte culti più o meno esoterici, legati ad un percorso di salvezza strettamente personale, dall’altra culti come quello del sole che avevano un forza unificante.

Nell’età severiana questo sincretismo si diffuse di pari passo alla perdita di centralità di Roma e dell’Italia, affossata dall’improduttività del latifondo aristocratico.

Lo sgretolamento dell’Impero che avviene con la fine dell’era severiana e che è fermata da Aureliano (270), ma risolta solo con Costantino, aveva portato a concepire un sistema più assolutistico e un corrispondente assolutismo religioso.

Ad esempio Aureliano figlio di una sacerdotessa del culto del sole, spinge per un sincretismo assoggetto al sole, cioè il sole sarebbe stato la divinità suprema di cui tutte le altre erano manifestazioni parziali.

Ad esempio Diocleziano non si configurava più come magistrato, ma divenne un’espressione del divino. Era una sorta di anello che connetteva l’umanità alla divinità. Il rituale di corte, la grandezza delle residenze, i paludamenti splendenti sottolineavano questa teologia.

Non è una battuta, ma un invito alla riflessione vedere come questa teologia sia entrata nella Curia romana, e il non prendere le vesti più ricche da parte di papa Francesco sia ancora oggi a distanza di secoli e nonostante la Riforma, qualcosa che fa parlare, un simbolo al contrario.

Dunque l’azione di Costantino va vista all’interno di questa situazione e di questa teologia.

Costantino si accorge che il culto solare, di cui egli è devoto forse anche dopo Ponte Milvio secondo alcuni storici, è si un culto unificante, ma non ha forse quella forza salvifica per la persona singola. È un culto da filosofi, intellettuale, una sorta di deismo ante-litteram. Mentre soprattutto nella parte orientale dell’Impero sta divenendo maggioritaria una superstitio che nella salvezza personale a un cardine fondamentale.

La mia tesi, o meglio per penso ci si possa esprimere così, che Costantino sostituisce alla religio degli avi, oramai sentita solo come istituzione sterile, una più sentita superstitio.
Ma quella superstitio deve, per assolvere al compito istituzionale e statale che gli viene assegnato, ottenere delle caratteristiche come ad esempio l’unità del culto e dell’espressione della fede, il controllo statale dei sacerdoti (che certo ottengono privilegi, ma vengono inquadrati nell’ordo, nell’ordinazione come funzionari statali).

Evoluzione

Costantino dunque si presenta nella storiografia come il tredicesimo apostolo. Ma di più si potrebbe dire come Colui che garantisce correttamente, come nel Concilio di Nicea da lui convocato e diretto, la relazione fra cittadini e divinità. Modifica quindi la teologia della tetrarchia introducendo non gli dei tradizionali di Diocleziano, ma il Dio dei cristiani, ma mantenendone sostanzialmente l’idea.

Questo cesaro-papismo come fu detto per i suoi successori dell’Impero d’Oriente peserà pesantemente sulle chiese ortodosse, che però oltre la compromissione con il potere manterranno, se vogliamo in maniera sorprendente, una capacità di resistenza e di rinnovamento, proprio perché era possibile una non identificazione completa con il potere politico. E solo come inciso questo vale anche per le chiese nate dalla Riforma in cui il magistrato, re o consiglio cittadino, si assume l’onere della Riforma della chiesa.

Invece in Occidente, come sapete, è lo stesso vescovo di Roma ad assumere sempre più il potere religioso e civile insieme. Infatti ad esempio assume il titolo di pontefice massimo che era degli imperatori, come garanti della religio.

È in questa visione contemporaneamente religiosa e politica che si manifesta questa idea che l’unità della chiesa di Cristo non sia una unità teologica, spirituale, fraterna, ma debba essere una unità visibile, ed ancora non nel senso di una comune celebrazione dei sacramenti, ma nel senso di un’ubbidienza ad un monarca assoluto.

Nel medioevo man mano che questa concezione si faceva più estesa ed assolutistica nacquero tutta una serie di movimenti di protesta, che furono quasi tutti tacciati di eresia.

Significativo era ad esempio l’avversione dei valdesi medioevali a Costantino e a papa Silvestro, cui si riferiva la falsa Donazione di Costantino, che identificavano in quel momento l’inizio dell’avvelenamento della Chiesa.

Oggi pur in clima ecumenico, pur con una concezione liberale dello Stato (e una delle prime libertà rivendicate era quella religiosa) non è stato ancora del tutto risolto il problema nato con Costantino, del collegamento stretto della Chiesa con il potere e dell’idea della necessità di una religione di Stato.