Chiesa plurale

Al tempo della Riforma ci fu una divisione fra le chiese riformate e le chiese anabattiste. Questa divisione portò anche a conseguenze tragiche, nel quadro di intolleranza del periodo.

Ancora oggi però sono validi i motivi teologici di quella divisione, che percorre le chiese evangeliche, alle volte trasversalmente. Spesso si dice ci siano posizioni liberali o conservatrici, ma non è questo il punto. Il punto è se si pensa che la chiesa debba essere plurale o uniforme.

Chiese evangeliche: chiese di persone dello stesso tipo o chiese di persone di tanti tipi differenti? Chiese dei soli “i più ferventi” o chiese aperte a tutti coloro che si sentono cristiani secondo l’evangelo? Chiese di nicchia o chiese di popolo?

Le chiese evangeliche riformate sono sempre state chiese che si concepivano come chiese di popolo. Non nel senso di una appartenenza scontata alla chiesa per nascita, ma nel senso di raccogliere le persone più disparate, non solo per condizione sociale o carattere, ma anche per comprensione biblica e per vita cristiana.

Certamente c’erano e ci sono dei limiti. La comprensione di base dell’annuncio di Gesù Cristo deve esserci, come anche il riconoscersi fratelli e sorelle in lui, ma c’è la volontà di essere insieme come peccatori riconciliati da Dio e non come dei “perfetti” che possono disprezzare gli altri. Anzi, come afferma la Seconda Confessione Elvetica: «bisogna sperare bene di ognuno», quando si parla di salvezza.

Il contrasto spesso drammatico con gli anabattisti, che vide alcuni riformatori fra gli uccisori, era in fondo legato a questa visione differente della chiesa. Il ri-battesimo era negare valore al battesimo dei bambini, per dare valore solo a quello di alcuni “particolarmente” credenti. Era in fondo la volontà di dare il via ad una chiesa particolare e non generale, rinunciando alla visione di chiesa come popolo di Dio per aderire a quella del residuo “santo” di quel popolo.

Il problema, allora come oggi, è dover decidere chi fosse “particolarmente” credente. Occorre pur sempre un qualche criterio che in base a qualche evidenza esterna all’individuo possa dire con certezza chi è “veramente” credente. Si vede subito, però, non solo che si pretende di giudicare l’animo di una persona, ma anche che si rischia di buttar via l’annuncio della salvezza per grazia, per ricadere nel perseguire opere per la salvezza. Inoltre giudicando non degni gli altri, non si combatte affinché tutta la chiesa-popolo confessi di cuore come unico Signore e Salvatore Gesù Cristo, magari esercitando una riprensione fraterna a vicenda, gli uni verso gli altri, nel corso del tempo, come si deve nella complessità della vita umana.

Questo atteggiamento è anche quello che ha fatto partire l’ecumenismo fra evangelici e quindi con gli altri cristiani. Adesso, però, da più parti si dice che questo modello di chiesa evangelica riformata è in crisi. In crisi non solo rispetto alla secolarizzazione, ma soprattutto rispetto alle chiese libere (come si dicono in Svizzera le chiese non cantonali, che di solito hanno una visione non plurale).

Mi sembra che questa presunta crisi non sia una questione di rapporto con la Scrittura, alcuni infatti accusano le chiese riformate di essere troppo “liberali”, mentre all’interno delle chiese cantonali ci sono vari orientamenti, anche letteralisti o comunque “classici”, ma mi sembra che il problema vada visto proprio in rapporto alla visione non anabattista: sembra più semplice al giorno d’oggi fare gruppi omogenei di persone, piuttosto che far convivere insieme, ed in fraternità, persone con convinzioni diverse. Si fanno chiese evento per i giovani, piccoli gruppi di preghiera omogenei, si delinea il ritratto del perfetto membro di una certa chiesa anche attraverso dettagliatissime confessioni di fede, così come si fa la discoteca per i giovanissimi e quella per i giovani, e ci si ritrova fra persone con lo stesso hobby, dello stesso gruppo sociale, e ci si riconosce in base ai propri distintivi, tipo di pantaloni, modo di parlare, musica da ascoltare…

Ecco la sfida delle chiese cantonali mi sembra essere quella di ribadire la loro visione “plurale” e accogliente di varie istanze cristiane evangeliche, rispetto alla cultura dell’uniformità. È un messaggio quello delle chiese evangeliche riformate non moderno, ma di grande speranza: si può essere insieme pur con le proprie differenze, per vivere e rendere gloria al Signore fraternamente come un popolo in cammino verso di lui. Non indifferenti verso gli altri, imparando dagli altri, essendo solidali con gli altri, anche se non ci identifichiamo al 100% con gli altri. E dunque avvalendosi del diritto-dovere di vivere con tutti secondo quell’amore che Gesù ci ha insegnato.


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